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Messa in Coena Domini. Spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo

Se non riconosciamo nel pane spezzato il corpo del Signore nella forma del servo che si offre per amore; se ci accostiamo alla comunione senza essere sinceramente disposti a lavarci i piedi gli uni gli altri, noi non riconosciamo il corpo del Signore

Li amò sino alla fine

Alla Pasqua non ci si può assuefare. Se l'abbiamo celebrata una prima volta con piena consapevolezza e anche solo con un briciolo di fede, le celebrazioni degli anni seguenti non saranno state certamente all'insegna dell'abitudine. Pasqua è sempre la stessa e sempre nuova. Forse però, a distanza di anni, certe cose che le prime volte ci meravigliavano o ci interrogavano, hanno finito per depositarcisi dentro, in fondo all'anima, e non ci sorprendono più. Per esempio, riguardo alla liturgia della parola che stiamo celebrando, sappiamo quasi a memoria i brani proclamati, e ricordiamo benissimo che la 1ª lettura, tratta dall'Esodo, ci racconta le origini della cena pasquale degli ebrei; la seconda, tratta dall'epistolario paolino, ci parla della cena eucaristica dei cristiani; il vangelo ci riporta la lavanda dei piedi. Ma perché, proprio oggi, liturgia in cena Domini, non ci viene proclamato un brano evangelico dove si racconta l'istituzione eucaristica?

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Si potrebbe rispondere che, su questa istituzione, abbiamo già ascoltato il racconto di Paolo, ed è vero, ma forse ora ci sta affiorando alla mente il ricordo di quando la prima volta abbiamo scoperto che il quarto vangelo - che pure dedica ben cinque capitoli a quanto Gesù fece e disse quella sera nel cenacolo - non spende neanche una riga per parlarci dell'eucaristia. Quando abbiamo posto questa domanda, ci saremo sentiti rispondere che il quarto vangelo, essendo stato scritto dopo e a integrazione dei primi tre - i cosiddetti Sinottici - racconta quello che gli altri non raccontano e viceversa. Sta di fatto però che il vangelo di Giovanni dedica un intero capitolo - il sesto - al racconto della moltiplicazione dei pani - miracolo riportato anche da Matteo, Marco e Luca - anzi è l'unico a riferire le parole con cui Gesù promette di istituire l'eucaristia, ma poi, quando arriviamo al momento della cena, sembra quasi che l'evangelista abbia dimenticato quella promessa e - stranamente - al posto del racconto del pane e del calice - è l'unico a riferirci la lavanda dei piedi.

Giovanni Paolo II, nella sua ultima enciclica sull'eucaristia, ci aiuta a trovare una risposta: "Significativamente, il vangelo di Giovanni, laddove i Sinottici narrano l'istituzione dell'eucaristia, propone, illustrandone così il significato profondo, il racconto della 'lavanda dei piedi', in cui Gesù si fa maestro di comunione e di servizio" (Eccl. de Euch. 20). Dunque il racconto della lavanda dei piedi non dice altra cosa rispetto all'eucaristia, ma ne dice lo stesso "significato profondo" in altro modo. Quale significato? Quale modo?

Il gesto di Gesù che si china a lavare i piedi di Simon Pietro e degli altri undici discepoli rientra nel genere delle azioni simboliche dei profeti: come un profeta pone un gesto di carattere enigmatico o paradossale e poi lo spiega, così fa Gesù: si alza da tavola, depone le vesti, si cinge di un asciugamano e comincia a lavare i piedi dei Dodici, e alla fine interpreta il suo gesto: "Se io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri".

Ritorniamo sui primi gesti dell'azione simbolica di Gesù. "Depose le vesti" e "si cinse con un asciugamano": questi due gesti richiamano, in perfetto parallelismo, le parole dell'inno a Cristo, Servo e Signore, riportate nella lettera di s. Paolo ai Filippesi: "spogliò se stesso" e "assunse la condizione di servo". Nella cena Gesù riassume tutta la sua vita come un "servizio" a Dio e ai fratelli: "Non sono venuto per essere servito, ma per servire" (cfr. Mc 10,45); "Io sto in mezzo a voi come colui che serve" (Lc 22,27). Nella sua cena di addio, Gesù, "avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine": "spogliò se stesso" della sua condizione di Maestro e Signore, e si "vestì" della condizione di servo.

E questo fece per esprimere simbolicamente quello che fu l'ideale e l'essenziale della sua vita e della sua passione. Questo è avvenuto anche nel nostro battesimo, quando ci siamo spogliati dell'uomo vecchio e ci siamo rivestiti di Cristo (cfr. Col 3,10). Questo avviene ogni volta che noi facciamo il memoriale del Signore nella santa eucaristia: facciamo comunione con il Cristo servo per obbedire al suo comandamento, quello di amarci come lui ci ha amato, e di lavarci i piedi gli uni gli altri come lui li ha lavati a noi.

Se non riconosciamo nel pane spezzato il corpo del Signore nella forma del servo che si offre per amore; se ci accostiamo alla comunione senza essere sinceramente disposti a lavarci i piedi gli uni gli altri, noi non riconosciamo il corpo del Signore. E allora meritiamo le severe parole di s. Paolo: "Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna" (1Cor 11,29).

Con questa celebrazione entriamo nel triduo sacro: preghiamo perché in questi giorni non ci limitiamo a ricordare o a commemorare la passione del Signore, ma ne riviviamo i sentimenti e gli atteggiamenti, così come ci invita a fare l'apostolo: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù" (Fil 2,6), o come leggiamo nella Prima Lettera di Pietro: "Poiché Cristo soffrì nella carne, anche voi armatevi degli stessi sentimenti" (4,11).

Commento di mons. Francesco Lambiasi

tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi"
Ave, Roma 2007

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