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Obiezione di coscienza e legge 194

L’integrale applicazione della legge 194 sembra l’obiettivo delle mozionidiscusse in questi giorni alla Camera. In realtà, sulla stampa, nelle dichiarazioni di alcune forze politiche, così come nelle prese di posizione di alcuni governi regionali e persino del principale sindacato italiano, sembra che il target fondamentale per il raggiungimento di questo obiettivo sia la lotta contro il medico obiettore di coscienza, in grado di impedire alla donna di esercitare il suo diritto di abortire

forum.jpgÈ proprio così?

Ci sembra fondamentale fare alcune precisazioni:

‐ Non esiste, in Italia il diritto della donna alla Ivg; la legge 194 dichiara invece, all'art.1, che "lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”.

‐ come è stato ampiamente dimostrato dal dibattito alla Camera dei deputati, e come si evince dalle annuali Relazioni al Parlamento del ministro della Salute sullo stato di attuazione della legge 194, in Italia il 96,7% delle donne abortisce entro la 12° settimana, con un tempo di attesa fra il rilascio della certificazione prevista dalla legge e l’esecuzione dell’intervento fino a 2 settimane nel 60% dei casi, e tra 15 e 21 giorni nel 24,3% dei casi.

‐ Il numero degli obiettori, sia ginecologi che anestesisti, dopo l’incremento registrato negli anni scorsi, è in realta ora sostanzialmente stabile, riguardando il 69,3% dei ginecologi ed il 50% circa degli anestesisti; a fronte di ciò, il costante calo delle interruzioni di gravidanza registrate in Italia dal 1982 può solo richiedere, in alcuni casi, aggiustamenti organizzativi nel personale dei reparti di Ostetricia e Ginecologia, secondo quanto già previsto dalla legge.

‐ La vera questione in gioco ci sembra sia il rapporto fra consultori familiari e medici obiettori di coscienza; in alcune Regioni è in atto un’autentica “caccia all’obiettore” e si tenta in diversi modi di allontanarli dai consultori familiari, trasferendoli ad altre mansioni. L'art. 1 della legge 194, a questo proposito dichiara: "Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e
competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite."

‐ In realtà, solo il 40,4% delle donne che intendevano abortire si è rivolta nel 2010 ad un consultorio: la maggior parte di esse ha preferito il medico di fiducia o il servizio ostetrico-ginecologico: ciò ripropone il tema urgente del rilancio del consultorio familiare (il cui numero peraltro è molto lontano da quel rapporto di 1 a 20mila persone previsto dal ministero), e della sua centralità nel percorso di accompagnamento delle donne che chiedono l’Ivg.

Infatti solo il consultorio familiare – e non certo un ginecologo ospedaliero o un medico di base – può, grazie alla presenza di una equipe professionalmente pluridisciplinare, farsi carico di quel percorso che gli artt. 2 e 5 della legge 194 chiaramente descrivono, e che consiste nell’acclaramento delle cause che inducono la donna a chiedere l’Ivg ed in azioni concrete per tentare di superarle. Giova ricordare che in Italia non è prevista la rilevazione dei motivi dell’Ivg, che invece potrebbe essere molto utile al fine di serie politiche preventive, come tentato in alcune regioni.

‐ La sentenza del Tar della Puglia del settembre 2010, riguardante il ricorso di un gruppo di ginecologi obiettori contro la Regione Puglia, che aveva escluso i medici obiettori da avvisi pubblici e concorsi per consultori, dice chiaramente che la questione (oltre che illegittima in sé, essendo l’obiezione di coscienza un diritto custodito dalla stessa legge 194), non può riguardare il consultorio familiare, in quanto non è in esso che avviene materialmente l’aborto. Ciò significa quindi restituire al medico obiettore tutto il suo ruolo attivo e propositivo nell’accompagnamento della donna che richiede l’IVG: essere obiettore non significa rinunciare ad una presenza attiva e responsabile accanto alla donna, italiana o immigrata, ma al contrario essere protagonista del suo ascolto e del suo sostegno. E se la donna poi riterrà di non rinunciare all’aborto, la redazione del certificato o del documento, cui molti obiettori rinunciano perché atto indispensabile per l’esecuzione della Ivg, potrà essere realizzata secondo le modalità organizzative che la singola ASL potrà prevedere.

‐ Infine, non si può fare a meno di condividere la riflessione del presidente del Forum delle associazioni familiari, Francesco Belletti, che giustamente si domanda come mai “nessuno provi neppure per un istante a chiedersi quali siano le ragioni che spingono il 70% dei ginecologi a rifiutarsi di praticare aborti. Non saranno legate al fatto che “vedono” dal vero quello che avviene nell’asetticità delle camere operatorie? Non sarà che riconoscono i due soggetti coinvolti nell’aborto? E non sarà che di fronte alla propria coscienza ed al giuramento di Ippocrate scelgono di dire no all’eliminazione di un essere umano?»

Lodovica Carli
medico chirurgo, specialista in Ostetricia e ginecologia
Commissione Welfare e Commissione Vita
Forum associazioni familiari

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