«Soldi e tecnica per cancellare la madre»

La  maternità surrogata altro non è che il più recente colpo grosso del  neoliberismo. Ma soprattutto è una nuova forma di patriarcato, l’ultima  offensiva contro la donna e il suo corpo, diretta a ciò che rende unica  la donna: la maternità e la relazione con il figlio. A sostenerlo è una  firma illustre del giornalismo e del femminismo, Marina Terragni, nel  suo ebook Temporary Mother. Utero in affitto e mercato dei figli (Vanda epublishing, pagine 99, euro 5,99), un brillante pamphlet che  non risparmia colpi nemmeno all’universo Lgbt e non nasconde la frattura  in corso tra Arcilesbica, (quasi) compatta contro il mercato degli  uteri, e le donne Arcobaleno, in larga parte schierate con gli uomini e  il loro "diritto" al figlio.
Nessun concetto davvero nuovo per chi in tanti anni ha seguito Avvenire.  Ma interessante è la prospettiva decisamente non cattolica che, pur  muovendo da altre premesse, finisce per convergere su tantissimi punti  proprio con i cattolici. La critica all’onnipresenza e onnipotenza del  mercato, ad esempio, ricorda analoghi affondo della Dottrina sociale,  con le parole scomode (chi denuncia limiti e errori del capitalismo  sfrenato, o del liberal-liberismo per dirla con Zamagni, da alcuni viene  immediatamente sospettato di "comunismo", sic) in particolare di  Giovanni Paolo II e Francesco. Ricorda anche un altro autore non  cattolico ma molto letto, ascoltato e stimato da numerosi cattolici come  Zygmunt Bauman. «Il mercato neoliberista – scrive Terragni – si prende  le sementi e ce le rivende, si prende l’acqua e ce la rivende, si prende  anche i nostri corpi e ce li rivende, trasformandoci in consumatori di  noi stessi» (qui l’eco della consumerist society baumaniana, contrapposta alla società di produttori, è palese).
Nel  pamphlet di Marina Terragni le parole chiave sono due: relazioni e  patriarcato, ossia ciò che nella Gpa – la gestazione per altri, sigla  con cui da qui in poi ci riferiremo alla maternità surrogata – viene  negato e chi cerca di trarne profitto. Le relazioni sono «il vero nemico  del comunismo e del mercato». Bauman parlerebbe di legami, quelli che  il mercato ha la necessità di rendere friabili. L’essere umano è tale  perché in relazione; e senza relazioni è sempre meno umano. Così – qui a  parlare è la voce giustamente orgogliosa di una femminista – «oggi si  riconosce che quello che molte donne stanno dicendo sull’utero in  affitto lo stanno dicendo per il bene di tutti. Che quel tenere sempre  al centro la relazione è per la felicità di tutti». Invece, pagando una  donna affinché diventi madre di un bambino che non dovrà mai neppure  vedere, «si compra il diritto di rompere la relazione». Il denaro  surroga quella relazione, e la misura della relazione viene sostituita  con quella del denaro. Terragni cita la femminista svedese Kajsa Ekis  Ekman: «La maternità surrogata è un fenomeno capitalistico che aliena  l’essere umano dalla sua stessa progenie».
Il cuore  femminista palpita. Maschi e femmine non sono uguali, ma disuguali. Le  donne possono mettere al mondo, gli uomini no. Di qui «l’invidia  dell’utero»: «Gli uomini hanno compreso di non essere pari alle donne  quanto a potenza creativa, e contro quella disparità e quella potenza  hanno escogitato il dispositivo del potere. Si son presi i corpi delle  donne, hanno dato vita al grandioso piano patriarcale». Come scrive  l’eco-teologa femminista Mary Daly: «Quei figli (della Gpa, ndr) sono figli dei maschi, dei loro laboratori, del loro ordine simbolico».
È  la posizione di una femminista, per questo invisa a ex compagne e  soprattutto compagni di lotta, così come oggi il confronto tra  Arcilesbica e Famiglie Arcobaleno è perfino aspro. I toni di Marina  Terragni sono senza mezze misure: il piano che si nasconde dietro la  Gpa, voluta e organizzata soprattuttto da maschi, è «far sparire la  madre» per «una nuova forma, moderna, di patriarcato». La surrogazione è  l’estremo acting out dell’invidia dell’utero. È il sogno  maschile radicale – cancellare il fatto di essere nati da una donna –  che prende corpo con l’ausilio della tecnoscienza e del bio-business».  Sì, la Gpa è faccenda da neo-patriarchi. Che alla madre surrogata  chiedono l’impossibile: sottrarsi alla relazione con il bambino, «la  relazione più intensa che ci sia dato sperimentare». 
È la  scomparsa della madre per contratto con il nascituro, «protagonista muto  della vicenda», il tutto nel nome «dell’individualismo proprietario».  La celebre frase, anzi il claim femminista «il corpo è mio»,  viene manipolato e ridotto al «mio» di una proprietà privata di cui si  può e si deve fare commercio: «Il corpo è del mercato». La conclusione  ha toni drammatici, perfino apocalittici: «Se lasciamo entrare il  mercato nella relazione tra madre e figlio, se gli lasciamo slegare  anche questo legame, il mondo muore».
A questo punto  entra in gioco Antigone. A lei, e alla sua resistenza al re di Tebe,  Creonte, si appella Marina Terragni. L’eroina di Sofocle, decisa a  contravvenire alla legge e a seppellire comunque il fratello, dichiara:  «Non temo di mostrare alla città questo mio atto di anarchia». Non è  l’anarchia come possiamo pensarla oggi d’acchito. È an-arché,  "senza principio", ossia da sempre. Antigone alla legge storica del re  di Tebe, e alle odierne leggi del mercato, oppone le leggi cosmologiche  innate, che esistono da sempre, a cominciare dalla pietas nel  caso di Antigone, fino al «primato della relazione vivente, custodito  dal madre-figlio/a, e di quelle leggi che esistono da sempre, a cui  anche gli dei devono obbedire».
Che in questa "battaglia"  tante femministe si trovino schierate con la Chiesa può essere  imbarazzante? Terragni taglia corto e ricorda come «tante volte la  Chiesa è stata ed è ancora oggi dalla parte delle donne, più di quanto  il laicismo diffuso (dico laicismo, non laicità) consenta di  riconoscere». È la Chiesa, oggi, «l’unico argine contro l’onnipotenza  del neoliberismo». E tanto basti.
Analisi brillante,  resistenza combattuta dalla trincea del femminismo meno ideologizzato,  posizione chiara. Ma come può agire, nel concreto, questa «anarché femminile che vuole sottrarsi all’onnipotenza delle leggi di mercato e  alla fretta del profitto»? Può e deve «agire sul limite», un limite  interiore. Poiché scienza e tecnologia sono difficilmente contenibili,  occorre agire sulle coscienza: parola che Marina Terragni non usa, ma di  cui si sente distintamente il profumo.
Umberto Folena
© Avvenire, 9 giugno 2016
 
            