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"Sono giunte le nozze dell'Agnello, la sua Sposa è pronta"

Il tempo della Quaresima si apre con l’invito di Dio, espresso dal profeta Gioele: «Ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). È il desiderio più profondo del Padre: che i suoi figli tornino alla comunione con Lui; ed è il bisogno più autentico di ogni uomo e di ogni donna: ritornare alla bellezza delle origini, quando Dio «creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gn 1,27)

Se c’è una nostalgia divina nel cuore dei figli, tante volte inascoltata e inespressa, prima ancora ce n’è una che abita il cuore del Padre. È manifestata da subito, nell’istante stesso in cui la creatura con la sua disobbedienza rifiuta la vita divino-umana, infrange la sua ‘comunione’ con il Creatore, imbrattando la somiglianza con Lui, fino a renderla illeggibile nella sua esistenza. «Dove sei?» (Gn 3,9) è la domanda che il Padre rivolge al figlio che tenta di nascondersi per la vergogna della sua ‘nudità’, segno di fragilità e vulnerabilità di una umanità ‘individuale’ che ha smarrito la luce dell’identità ‘personale’ e ‘comunionale’ con la donna e, insieme a lei, con il Padre. Da quel momento Dio non ha mai smesso di cercare i suoi figli per ricondurli a sé. Si è messo sui nostri passi per inseguirci, facendosi vicino ai nostri fallimenti, piegandosi sulle nostre ferite, fino a «dare il Figlio unigenito» perché in noi tornassero a risplendere la sua ‘immagine’ e la sua ‘somiglianza’.

È il senso dell’icona - tratta dai mosaici della cupola della Genesi nella Basilica di San Marco a Venezia - che ci sta accompagnando durante questo anno e che contempleremo soprattutto in questa Quaresima. Come ha scritto il nostro Arcivescovo già nell’introduzione della traccia pastorale di quest’anno: “è il Signore stesso, nelle fattezze del Verbo, che guida. Pone delicatamente le mani sulle spalle; incoraggia senza forzare, resta indietro, quasi a proteggere, a non invadere, mentre si schiude la porta che chiama al cammino, al futuro, alla storia. Il Signore stesso «scende», fino alla soglia in cui il Regno dei Cieli diventa Regno della terra, e stende le sue mani sulla coppia: uomo e donna”. E per il tempo della Quaresima mons. F. Cacucci esplicita: “più che la cacciata dal paradiso terrestre, in questa scena vediamo descritta, in modo mirabile, la misericordia di Dio che si manifesta in Gesù, il quale, amorevolmente (non con la spada di fuoco) accompagna Adamo ed Eva verso il mondo, dopo aver ricoperto le loro nudità di vesti… Non è una fine, ma un nuovo inizio, e forse il vero inizio della storia: dal grembo della misericordia”. Proprio da questo grembo vogliamo ripartire perché a quel grembo, che è la Vita del Padre, la nostra umanità ferita deve tornare. La strada del ritorno, però, non è affidata alle nostre forze e ai nostri sforzi. Per realizzare questo il Figlio non si limita ad accompagnarci indicandoci la strada del ritorno, è Lui stesso che ci riapre l’accesso al “giardino” della comunione e della partecipazione a quella Vita alla quale da sempre siamo chiamati. L’immagine del “giardino” è richiamata nel tempo pasquale come segno del compimento dell’amore del Padre: è “il giardino della creazione, il giardino del Cantico, e il giardino del paradiso aperto dal Cristo: compimento dello sposalizio con l’umanità attraverso il giardino della passione (Gv 18,1), della crocifissione e morte (Gv 19-41-42) e della risurrezione (Gv 20,11-18)”

La Pasqua, alla quale la Quaresima conduce, ci ricorda che Cristo è il nuovo Adamo e Maria è la Donna nuova, la Chiesa. “Nell’ora della croce, talamo nuziale, viene alla luce la vera coppia originaria, archetipa: Cristo e la Donna sono, nella profondità del Mistero, il primo Adamo e la prima Eva” (G. Mazzanti).

Lo esprime in modo mirabile Giacomo di Sarug, autore siriaco e vescovo del V secolo:

«Il fianco dello Sposo è stato trafitto e da esso è uscita la Sposa, compiendo il tipo offerto da Adamo ed Eva (…). Il promesso Sposo fece entrare la figlia del giorno in un nuovo grembo, e le acque di prova del battesimo furono nelle doglie e la partorirono: Egli rimase nell’acqua e la invitò: essa scese si ammantò di luce e risalì; nell’eucaristia lo ricevette, e così le parole di Mosè che i due saranno uno furono provate. Dall’acqua deriva la casta e santa unione della Sposa e dello Sposo, uniti in spirito nel battesimo… Quale sposo muore per la sua sposa, tranne nostro Signore? Quale sposa ha scelto un trucidato per marito? Chi, dall’inizio del mondo, ha mai dato il suo sangue come dono nuziale, tranne il Crocifisso, che suggellò il matrimonio con le sue stesse ferite? (…) Egli morì sulla croce e dette il suo corpo alla Sposa resa gloriosa, che lo coglie e lo mangia ogni giorno alla sua mensa. Egli aprì il suo fianco e unì il suo calice al santo sangue per darlo a lei da bere così da farle dimenticare i suoi molti idoli. Lei lo unse con olio, lo indossò nell’acqua, lo consumò nel Pane, lo bevve nel Vino, affinché il mondo potesse conoscere che i due sono uno».

Nella luce della Pasqua Cristo si rivela pienamente come l’Amato che cerca l’Amata, lo Sposo «...che ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (cfr. Ef 5,25-32). A questo “mistero grande” l’apostolo riferisce l’amore del marito per la moglie. Questo amore, ferito perché donato, perso e ritrovato, dobbiamo testimoniare, immergendo la nostra vita in quella di Cristo per assumere la sua mentalità e lo stile del suo amore pasquale e sponsale. Senza cedere a rassegnate diagnosi, né a sterili ricette che inseguono una visione ‘ideale’ dell’amore e della vita cristiana, siamo invitati ad assorbire la vita divino-umana comunicata dal Crocifisso Risorto e a percorrere la strada indicata da Papa Francesco dell’accompagnare, del discernere e dell’integrare. Consapevoli che “la storia di Adamo ed Eva continua ancora oggi nelle nostre famiglie che sperimentano l’esperienza del peccato come fallimento, smarrimento, tradimento o diffidenza”, dobbiamo tornare ad annunciare a tutti, con gioia, la bella notizia che mai la caduta sarà l’ultima parola e che le ‘ferite’ possono diventare ‘feritoie’ della stessa luce della risurrezione di Cristo. “Il progetto originario di Dio si compie il mattino della risurrezione, quando il Risorto va verso la donna - la Maddalena - ferita e guarita dal suo amore, e la chiama per nome: «Maria»”. Lui vuole la bellezza riuscita della sua amata. Lei abbraccia il Cristo stringendogli i piedi come per trattenerlo nel suo giorno terreno, ma lui la fa entrare nel giorno glorioso delle Nozze eterne.

Nel suo Cantico Spirituale il grande mistico san Giovanni della Croce scriveva: «O notte più amabile dell’alba, o notte che riunisti l’Amato con l’amata, l’amata nell’Amato trasformata!». E anche noi con lui, insieme alla Maddalena, che tutti ci rappresenta, insieme a Maria e al veggente dell’Apocalisse, possiamo esultare perché: «Sono giunte le nozze dell’Agnello la sua sposa è pronta» (Ap 19,7). Sia questa la nostra gioia pasquale: quella sposa è la Chiesa, sono io, sono le nostre famiglie, è l’umanità redenta e salvata, …l’amata nell’Amato trasformata! 

Sac. Mario Castellano

Direttore Ufficio Liturgico e Ufficio Pastorale

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