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Satriano: i «nuovi» missionari? Lungo le strade dell’indifferenza

Oggi l’annuncio del Vangelo passa anche dalle “frontiere delle città” popolate dalla rassegnazione e dal non senso. L'Arcivescovo presidente di Missio: servono testimoni che penetrano la realtà non a parole ma con la vita

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«Vite che parlano» è lo slogan della prossima Giornata missionaria mondiale, un appuntamento che ritorna ad interpellarci nel cuore dell’Ottobre missionario. Ce ne parla monsignor Giuseppe Satriano, arcivescovo di Bari- Bitonto, presidente della Commissione episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese e presidente della Fondazione Missio. «Abbiamo bisogno di testimonianze capaci di penetrare la realtà non a parole, ma con la vita – dice –. Un testimone è innanzitutto chi, scoprendosi amato, narra ciò che ha visto, toccato e udito, nell’ordinario dell’esistenza. Abbiamo bisogno di vite che parlino con le proprie storie; vite autentiche profumate di profezia e di verità; vite che sappiano recuperare il sogno di Dio sul creato; vite che nell’essenziale del quotidiano si ritrovino a cantare l’amore con cui Gesù ci ha risollevato dalla solitudine e dalla disperazione del peccato».

Ma quali sono le nuove frontiere pastorali, le sfide della missione ad gentes?
Non si tratta di frontiere lontane. Sono sotto casa nostra, in quegli spazi di vita nei quali l’indifferenza ha relegato l’esistenza di coloro che hanno perso tutto; attraversano le periferie delle città e sono abitate da fratelli e sorelle che nella rassegnazione hanno edificato il loro futuro; le troviamo nei luoghi della movida, dove il non senso dello sballo e della trasgressione sembrano restituire gioie effimere per tentare di colmare i vuoti della vita; le troviamo lì dove l’ingiustizia e la violenza segnano la vita di molti, di tutti coloro che sono ancora inascoltati. Queste frontiere evocano l’urgenza di un annuncio che si faccia accompagnamento e liberazione da ogni forma di schiavitù, testimonianza che parli il linguaggio della riconciliazione e della misericordia.

Vangelo e dialogo con altre culture e religioni: anche in tempi di guerra l’autorevolezza della Chiesa e quella di papa Francesco sono una speranza per tutta l’umanità. Come dialogo e missione possono lavorare per la pace?
Non c’è missione senza la capacità di entrare in dialogo con culture, linguaggi, stili di vita che spesso appaiono lontani dal Vangelo. In secoli di storia la Chiesa, fatta eccezione per i fenomeni di colonialismo religioso, ha saputo dialogare e aprirsi a contesti profondamente diversi da sé. La testimonianza del Santo Padre si pone su questa scia profumata di rispetto e amore per ogni realtà umana. La sfida missionaria oggi ci chiama ad abitare le storie, i desideri, le ferite, i sogni di ogni credo religioso, sapendo cogliere come, tra violenza e indifferenza, c’è sempre l’opzione di una 'convivialità' che non fagocita le differenze, assimilandole, ma vive la tensione per l’unità a partire da ciò che accomuna e conduce ad un’umanità costruttrice di pace. Nella ricerca di Dio è sempre possibile costruire un cammino che sappia farsi carico delle diversità nella tessitura di relazioni fraterne e di percorsi di pace.

Quest’anno la Giornata missionaria mondiale ci coglie in pieno Cammino sinodale: come stanno cambiando la Chiesa e le Chiese con peculiarità diverse in ogni Paese del mondo? E’ la missione ad indicare la via a quella 'Chiesa in uscita' di cui tanto parla papa Francesco?
L’aver posto la Chiesa tutta dinanzi alla sfida sinodale ha rilanciato il tema della comunione e della corresponsabilità come orizzonti su cui crescere per operare quel cambio di paradigma di cui la Chiesa necessita, e che l’Evangelii gaudium ha evidenziato. Si tratta di cambiare approccio alla realtà, a partire dalle nostre situazioni particolari. Certamente avviare una trasformazione missionaria della Chiesa e delle nostre Chiese richiede un re-innamoramento del cuore che deve potersi ricentrare su «la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Cristo morto e risorto» (Eg). Solo una ritrovata appartenenza e fedeltà a Lui e al suo mandato può condurci a quella creatività che nasce dalla preghiera, dalla gratitudine per quanto ricevuto, dal discernimento e dall’audacia del mettersi in gioco. Ricordiamo che il Papa invita ad una trasformazione missionaria paradigmatica e non funzionale. In altre parole: una trasformazione in radice, culturale, che coinvolge e - perché no? - stravolge mente e cuore.

La missione è scambio, è risposta alle grandi sfide del nostro tempo come le migrazioni. Come cambiano i linguaggi della missione ad gentes?
Nella Laudato si’ il papa afferma che non ci sono crisi separate, una di tipo ambientale e l’altra sociale. Anche il tema delle migrazioni è interconnesso al tema di un’ecologia integrale e a quello di un’economia che uccide. C’è una spirale di autodistruzione dalla quale è possibile uscire solo attraverso un dialogo inclusivo, non rinunciando a denunciare, con una testimonianza di vita, i percorsi d’ingiustizia che si attuano nella vita di molti fratelli. Abbiamo bisogno di un dialogo sincero, sempre più aperto e inclusivo, che ci porti a prendere coscienza di alcuni limiti intrinseci al nostro modo di pensare e vivere per costruire assieme un mondo più sostenibile e fraterno'.

Miela Fagiolo D'Attilia

© Avvenire, domenica 9 ottobre 2022