
“Ricostruire Gaza, ridare speranza al mondo”
Padre Ernesto Balducci, sacerdote, scrittore e costruttore di pace, affermava che la storia delle città è percorsa da due impulsi, eros e thanatos. Il primo è lo spirito vitale e unitivo che ci consegna tante testimonianze di bellezza e di meraviglia nelle nostre città. Il secondo è l’istinto di sopraffazione che ha segnato e segna tragicamente la storia delle città.
Gaza e il lembo di terra che prende il suo nome sono la narrazione più tragica della vittoria di Thanatos nell’età contemporanea.
Guardare oltre la tragedia presente, senza rimuoverla. Sì, perché la speranza cristiana non è illusione o fuga dalla realtà: è capacità di tenere insieme lo sguardo alto e i piedi piantati nella polvere. Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti ci ricorda che «nessuno può affrontare la vita in modo isolato: abbiamo bisogno di una comunità che ci sostenga» (FT 8). Oggi più che mai Gaza ha bisogno di comunità che la sostengano, la aiutino a rialzarsi e che sappiano guardare oltre il tragico presente segnato dalla palese violazione del diritto internazionale e da quella che appare come una volontà deliberata di annientamento.
In questa sede, dove l’intelligenza progettuale è di casa, voglio ricordare che non esistono scienze neutrali. Può essere neutrale la competenza tecnica, ma non la scienza. Urbanistica, architettura, ingegneria sono sempre portatrici di valori, idee, prospettive. Ricostruire Gaza sarà anche disegnare una visione di futuro: quale città immaginiamo? Quale umanità vogliamo favorire? Una città può riflettere una logica di esclusione o una cultura dell’incontro.
Le ferite di Gaza non sono solo quelle visibili delle case sventrate e delle strade distrutte: sono le ferite nella carne e nell’anima di donne e uomini a cui sono stati sottratti affetti, sogni, futuro. Se non saranno curate, queste ferite si pervertiranno in vendetta. Per questo la ricostruzione dovrà essere anche opera di rigenerazione morale: di riconciliazione, come accadde in Sudafrica dopo l’apartheid o in Ruanda dopo il genocidio dei Tutsi. Non possiamo pensare a Gaza solo come a un cantiere: deve diventare una scuola di umanità.
A rendere ancora più amara questa riflessione è la consapevolezza di quanto la tecnologia, invece di essere strumento di vita, venga usata come strumento di morte. Le cronache recenti ci informano dell’uso combinato da parte delle forze israeliane di software sofisticati, come “Lavender” e “The Gospel”, che selezionano obiettivi umani ed edifici da colpire, accettando deliberatamente “danni collaterali” su civili innocenti. È il tragico paradosso di una tecnologia che si piega alla logica del dominio e inaugura crimini nuovi come il “domicidio”, l’uccisione sistematica di case e dimore, luogo per eccellenza della vita e degli affetti.
Contro questa logica di morte, il contributo degli uomini e delle donne di scienza può essere prezioso: Gaza deve tornare a essere luogo di socialità. Quanto sarebbe bello che un giorno a Gaza sorgesse qualcosa di simile all’Abrahamic Family House di Abu Dhabi, dove una chiesa, una sinagoga e una moschea condividono uno stesso spazio urbano, nel segno del rispetto reciproco e del dialogo tra le religioni abramitiche. Gaza può diventare un segno profetico di pace, ma per farlo servono scelte coraggiose e visioni generose.
Forse tutto questo oggi sembra un sogno. Ma come scriveva don Tonino Bello, “se non si parte dai sogni non si cammina e non si costruisce la pace”. La fede cristiana ci educa al sogno concreto: ci insegna che la risurrezione nasce nel luogo della massima sconfitta e del massimo dolore. Non possiamo dire “Cristo è risorto” e poi accettare che Gaza sia una terra votata alla morte. La speranza che ci abita ci spinge a immaginare strade alberate, piazze ampie, scuole vive, ospedali accoglienti, case aperte e dignitose.
La ricostruzione di Gaza sarà autentica se saprà ridare speranza al mondo intero: non solo pietre ma relazioni; non solo cemento ma comunità; non solo calcoli ma compassione.
E allora Gaza ci chiama a una responsabilità: far sì che l’ingegno umano non sia complice della morte ma alleato della vita. Così diventeremo costruttori non solo di case, ma di fraternità.
Giuseppe Satriano