Gesù conosce i suoi discepoli (e, in quanto Dio, tutti gli uomini), li conosce "per nome" che per la Bibbia vuol dire nella loro più intima essenza. Egli li ama con un amore personale che raggiunge ciascuno come se fosse il solo ad esistere davanti a lui. Cristo non sa contare che fino a uno: e quell'uno è ognuno di noi.
L'amore di Pietro era sempre stato sincero e profondo, nonostante le debolezze che venivano a galla nelle difficoltà. Pietro è il vero testimone della fragilità che ci portiamo addosso, tutti.Da qui la domanda di Gesù: "Mi ami?". Una domanda che, di fronte alle difficoltà o alle nostre debolezze, a volte, mette in imbarazzo anche noi nel rispondere: "Signore, tu sai che ti amo".
Il cuore dell'evento drammatico non è tanto la croce, quanto piuttosto il Crocifisso. La croce da sola resta un segno che evoca certo dolore, sofferenza, morte, ma senza svelarcene immediatamente il significato. La croce senza il Crocifisso resta come per gli antichi romani un supplizio infamante o come per i nostri contemporanei un elemento osceno.
Essere perdonati prima di ogni altra cosa è percepire ‘quello' sguardo e presagire che la vita, anche la più disgraziata, offre sempre una nuova possibilità, riserva ancora un guizzo inedito, nasconde una chanche impensata. È il perdono infatti e non la perfezione il destino di ciascuno di noi: non si nasce perfetti, si diventa migliori.
Il vangelo della IV domenica di Quaresima è una delle pagine più celebri del vangelo di Luca e di tutti e quattro i vangeli: la parabola del figliol prodigo. Tutto, in questa parabola, è sorprendente; mai Dio era stato dipinto agli uomini con questi tratti. Ha toccato più cuori questa parabola da sola che tutti i discorsi dei predicatori messi insieme. Essa ha un potere incredibile di agire sulla mente, sul cuore, sulla fantasia, sulla memoria. Sa toccare le corde più diverse: il rimpianto, la vergogna, la nostalgia.
È davvero tempo che ognuno trovi il coraggio di vedere in faccia le tante superficialità, che conducono al male che non vorremmo e lasciano sempre la bocca amara, ossia l'insoddisfazione del cuore. Nulla è bello, infinitamente bello, come avere un cuore riconciliato da Dio, con se stessi e con gli altri: è la via per ritrovare la gioia di vivere in grazia e così poter dare un senso alla vita e a quanto facciamo o ci accade. Non si può far convivere fede e mediocrità, voglia di bontà e corsa al male.
Tutti e tre i Sinottici narrano l’episodio della Trasfigurazione. Luca ha di particolare che lo racchiude nel clima della preghiera. Quante volte Gesù sarà salito sul monte per intrattenersi in intimo colloquio con il Padre! Durante la preghiera il suo volto diventa luminoso e la sua veste candida e sfolgorante. Ma possiamo anche chiederci: E’ il volto del Signore che diviene “altro” - come dice il termine greco - o sono gli occhi dei discepoli che purificati da tutto quello che è terreno vedono il volto di Cristo com’è nella sua realtà, “immagine del Dio invisibile”?
Purtroppo anche noi, come gli ebrei nel deserto, riponiamo sicurezza nella quantità delle cose possedute, mentre Dio vuole convincerci che la sicurezza nostra si trova altrove: «Disse loro: guardatevi e tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché se anche uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni. Ad uno che aveva raccolto nei granai favolose ricchezze Dio disse: Stolto! Questa notte stessa ti sarà chiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Cosi è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio» (Le 12,15‑20).
Cosa vuol dire «beato»? Non è certo quella specie di augurio idealista o quell’aspirazione velleitaria che spesse volte risuona sulla bocca dell’uomo comune [...] La beatitudine è quindi qualcosa di molto concreto: dire «beati i poveri» significa che colui che ha raggiunto questa dimensione di vita è approdato a un mondo nuovo, a uno stato di vita diverso da quello ordinario, che implicitamente è detto stato di infelicità, e su cui Gesù fa le sue quattro lamentazioni (Lc 6,24‑26).
Nel mistero della barca splende il mistero stesso di Cristo: in essa egli opera con la parola (annuncia ‑ lancia inviti) e con la potenza della sua persona (compie il miracolo); e ciò che ne risulta è una nuova dimensione della storia.