Gesù espone due atteggiamenti opposti nella preghiera, ma attraverso di essi allarga l’orizzonte: ci insegna che la preghiera rivela qualcosa che va oltre se stessa, riguarda il nostro modo di vivere, la nostra relazione con Dio, con noi stessi e con gli altri. Ciò che Gesù condanna nel fariseo non è il suo compiere opere buone ma il fatto che egli, nella sua fiducia in sé, non attende nulla da Dio. Il pubblicano invece, figura del peccatore pubblico, si presenta a Dio sapendo di vivere nella colpa. Non ha nulla da vantare, ma sa che può solo implorare pietà da parte del Dio tre volte Santo. Per questo pronuncia parole brevissime, modello di ogni preghiera autentica: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”
Per Gesù, come per tutta la Scrittura, la preghiera è l’altra faccia della medaglia della fede, perché nasce dalla fede ed è eloquenza della fede. Ebbene, la mancanza di fede-fiducia, negli altri prima che in Dio, è la ragione profonda di molte patologie dei credenti e la tentazione di abbandonare la fede è quotidiana. Non ci resta dunque che rinnovare la fede, con la speranza nella venuta di Gesù, Figlio dell’uomo, Giudice giusto, e con l’amore fraterno vissuto attingendo all’amore di Gesù, amore fedele fino alla fine, per tutti gli umani
Gesù demolisce molte certezze di noi cristiani asserragliati in chiese o comunità. Fuori, fuori, anche fuori c’è un operare di Cristo Signore che a volte trova più ricezione di quanta ne abbia tra noi che ci sentiamo dentro. Dio non si lascia conoscere solo nelle istituzioni ecclesiastiche o cultuali, ma si fa conoscere soprattutto in Gesù: grazie a lui, attraverso di lui solo si rende gloria a Dio
Gli apostoli vorrebbero essere giganti della fede, ma Gesù fa loro comprendere che la fede, anche piccola, se è reale adesione a lui, è sufficiente per nutrire la relazione con lui e accogliere la salvezza. Sì, la nostra fede è sempre oligopistía, fede a breve respiro, ma basta avere in noi il seme di questa adesione alla potenza dell’amore di Dio operante in Gesù Cristo. Credere significa alla fin fine seguire Gesù: e quando lo si segue, si cammina dietro a lui, vacillando sovente, ma accogliendo l’azione con cui egli ci rialza e ci sostiene, affinché possiamo stare sempre là dove lui è
Questa parabola ci ammonisce a praticare l’ascolto del fratello nel bisogno che è di fronte a noi e l’ascolto delle Scritture, non l’uno senza l’altro: è sul mettere in pratica qui e ora queste due realtà strettamente collegate tra loro che si gioca già oggi il nostro giudizio finale. Infatti, “ogni giorno possiamo trovare Lazzaro, se lo cerchiamo; ogni giorno vediamo Lazzaro, anche senza cercarlo” (Gregorio Magno)
Il denaro è solo uno strumento, ma di fronte a esso occorre vigilare, per donarlo, distribuirlo, condividerlo. Se infatti lo si accumula e lo si trattiene per sé, finisce per essere alienante: non è più posseduto, ma è lui a possedere chi lo ha nelle proprie mani! L’unico modo per sfuggire alla schiavitù satanica di Mammona è condividere i beni, condonare i debiti: il denaro accumulato è sempre sporco, per ripulirlo basta condividerlo
Con il suo agire e il suo parlare Gesù ci rivela che Dio è sempre alla ricerca del peccatore, non è un Dio dei giusti, dei puri, che ama solo quelli che gli rispondono coerentemente. Dio sa che in verità tutti gli esseri umani sono peccatori, in un modo o nell’altro, e allora cerca di far sentire a tutti e a ciascuno il suo amore fedele e mai meritato. Ci porge questo amore, ce lo offre, ma se noi non sentiamo il bisogno di un Dio che ci renda giusti, se non sappiamo, o non vogliamo sapere di essere peccatori, allora impediamo a Dio di venirci a cercare
Nel chiamare discepoli e discepole dietro a sé Gesù non fa propaganda per le vocazioni, ma piuttosto dissuade, mette in guardia. Avremmo molto da imparare da questo suo atteggiamento, soprattutto quando la scarsità di vocazioni ci angoscia e ci fa paura: cattiva consigliera quest’ultima, che spinge ad accogliere tutti con molta superficialità e a non riconoscere e comunicare le difficoltà oggettive della sequela di Gesù
La festa si può vivere solo restando al proprio posto e non cercando di rubarlo agli altri. E ciò vale in qualsiasi comunità: stare al proprio posto senza ambire a posti più alti, senza cercare posti tenuti dagli altri, può essere faticoso ma è secondo “il pensiero di Gesù”, è evangelico e contribuisce alla vera costruzione della comunità. Gesù ci insegna inoltre a invitare alla nostra tavola quelli che non possono contraccambiare: se alla nostra tavola mancano i poveri, i malati, gli ultimi, si tratta di una tavola mondana, non secondo il Vangelo
Noi crediamo di essere nell’intimità con il Signore, assidui alla sua presenza, ascoltatori della sua Parola, nutriti dai sacramenti, ma domandiamoci se a questo corrisponde ciò che il Signore chiede come impegno, urgenza, amore verso gli altri. Se infatti non realizziamo il bene e la giustizia nella vita, nel comportamento, nelle relazioni con gli altri, allora anche i mezzi sacramentali saranno evidenziati da Gesù come un inganno che abbiamo vissuto…