Questa è davvero la parabola dell’amore frustrato di quel padre che ha amato fino alla fine, totalmente, gratuitamente, e che invece è apparso un padre-padrone in virtù delle proiezioni che entrambi i figli hanno fatto su di lui. Per il fratello maggiore resta il compito di non dire più al padre: “questo tuo figlio”, bensì: “questo mio fratello”. È un compito che ci attende tutti, ogni giorno. Dio, il Padre, resta fuori dalla festa, accanto a ciascuno di noi, e ci prega: “Di’ che l’uomo è tuo fratello, e allora potremo entrare e fare festa insieme”
Gesù, il Figlio di Dio venuto nella vigna, si è fatto vignaiolo tra gli altri vignaioli, ha amato veramente la vigna e se n’è preso cura, innalzando per lei intercessioni in ogni situazione, ponendosi tra la vigna e il Dio vivente, facendo un passo, compromettendo se stesso nella cura della vigna, aumentando il suo lavoro e la sua fatica per amore della vigna, facendo tutto il possibile perché dia frutto e viva. È stando in mezzo alla vigna, che dice a Dio: “Lasciala, lasciala ancora, attendi i suoi frutti; io, intanto, me ne assumo la cura, che è responsabilità!”. Così la vigna-Israele e la vigna-chiesa sono conservate anche quando non danno i frutti sperati da Dio, perché Gesù il Messia è il vignaiolo in mezzo a loro, è il loro sposo e sa attendere con quell’attesa che è la pazienza di Cristo
La voce di Dio risuona dalla nube come rivelazione dell’identità di Gesù e come compito per i suoi discepoli: “Questi è il Figlio mio, l’Eletto, l’Amato, ascoltatelo!”. La rivelazione ormai è Gesù stesso, la sua persona, e il grande comando “Ascolta, Israele!” diventa: “Ascoltate il Figlio, l’Eletto di Dio, ascoltate lui!”. Anche l’ascolto della Legge e dei Profeti deve diventare ascolto di Gesù, il Figlio che Dio ama perché compie la sua volontà, conformemente alla missione ricevuta
Gesù ha subito queste tentazioni in quanto uomo come noi; ha veramente vissuto questi abissi, imparando così ad aderire alla realtà. Dopo questa prova del deserto, Gesù ormai sa come svolgere la missione e come portare a termine la sua vocazione, con la forza dello Spirito santo. Questa però non è per Gesù una vittoria definitiva: il diavolo tornerà a tentarlo, fino alla fine. Ma egli sarà sempre vincitore, uguale in tutto a noi eccetto che nel peccato: per questo trionferà sulla morte e, quale Risorto, vivrà per sempre quale Signore del mondo
Il peccato degli altri ci scandalizza, ci turba, ci invita alla denuncia e anche questo ci impedisce di avere uno sguardo autentico e reale su noi stessi. Ciò che vediamo negli altri come “trave”, lo sentiamo in noi come pagliuzza; ciò che condanniamo negli altri, lo scusiamo in noi stessi. Allora meritiamo il giudizio di Gesù: “Ipocrita!”
Solo amando gli altri senza reciprocità, facendo del bene senza calcolare un vantaggio e donando con disinteresse senza aspettare la restituzione, si vive la “differenza cristiana”. In questo comportamento c’è il conformarsi del discepolo al Dio di Gesù Cristo, quel Dio che Gesù ha narrato come amoroso, capace di prendersi cura dei giusti e dei peccatori, dei credenti e degli ingrati. Se Dio non condiziona il suo amore alla reciprocità, ma dona, ama, ha cura di ogni creatura, anche il cristiano dovrebbe comportarsi in questo modo nel suo cammino verso il Regno, in mezzo all’umanità di cui fa parte
Lasciamo che le beatitudini ci interroghino, che ci feriscano al cuore e cerchiamo di non essere scandalizzati dal loro radicalismo: le beatitudini non sono etica e morale, ma sono rivelazione, sono annuncio da accogliere o rigettare, esprimono la logica e la dinamica del regno di Dio. Quel Regno che noi dobbiamo cercare per prima cosa nella consapevolezza che Gesù è la buona notizia, il Vangelo di Dio per noi. Anche i “guai” non sono maledizioni, ma sono un richiamo a mutare strada, a cambiare mentalità e comportamenti, sono un vero invito alla vita autentica e piena
Quando Gesù chiama, trasforma quello che facciamo, e questa trasformazione richiede un abbandono di ciò che eravamo e una novità di vita, di forma di vita, nel futuro che si apre davanti a noi. Siamo chiamati ad avanzare verso le acque profonde, verso l’abisso, senza timore, muniti solo della fiducia nella parola di Gesù
“Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”: Gesù lo dice con rincrescimento per il rifiuto patito ma anche con una gioia interiore indicibile, perché da quel rifiuto riceve una testimonianza. Lodandolo per le sue parole di grazia non gli davano testimonianza, ma ora, rigettandolo, sì: perché questo accade a chi è profeta, a chi porta sulla sua bocca una parola di Dio e la consegna a chi ascolta. Gesù dunque riceve la testimonianza dello Spirito che sempre lo accompagna e che gli dice: “Tu sei veramente profeta, per questo conosci il rigetto!”
Oggi è per ciascuno di noi sempre l’ora per ascoltare la voce di Dio, per non indurire il cuore e poter così cogliere la realizzazione delle sue promesse. La parola di Dio nella sua potenza risuona sempre oggi. Oggi, dunque, si ascolta e si obbedisce alla Parola o la si rigetta; oggi si decide il giudizio per la vita o per la morte delle nostre vicende; oggi è sempre parola che possiamo dire come ascoltatori autentici di Gesù. E possiamo dirla anche dopo un passato di peccato: “Oggi ricomincio”, perché la vita cristiana è andare di inizio in inizio attraverso inizi che non hanno mai fine