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Editoriali

Immacolata Concezione di Maria anno B. "Dove sei?"

Ricordare l'Immacolata Concezione è ricordare quella grazia della quale fu riempita la Madre di Dio fin dal primo istante della sua vita, benedire l'Altissimo che ha fatto in lei grandi cosa, e rallegrarsi insieme a lei perché di quella grazia siamo stati riempiti anche noi

I Domenica di Avvento anno B. Vigilate!

Noi cristiani, che vogliamo essere discepoli di Gesù, attendiamo ancora veramente la sua venuta e siamo vigilanti, tesi verso quel giorno? Il fine del vegliare è l’acquisizione della consapevolezza di ciò che si è e della responsabilità che si ha nella compagnia degli uomini e nella comunità del Signore. Vigilare è vivere con i sensi svegli, resistendo all’intorpidimento spirituale, al venire meno della sovraconoscenza dataci dalla fede. Vigilare è aderire alla realtà ed essere fedeli alla terra, sapendo e affermando di essere sempre alla presenza di Dio, tempio dello Spirito e corpo del Cristo risorto nella storia. Vigilare è resistere allo spirito dominante e conservare la capacità di critica, per non piegarci al “così fan tutti!”

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario anno A. Cristo Re. I peccati di omissione

I peccati di omissione sono i capi di accusa contro di noi nel giorno del giudizio. Benedizione per chi ha saputo prendersi cura, con la sua carne, della carne dei fratelli e delle sorelle; maledizione per chi è passato oltre, magari bisbigliando preghiere, ma non vedendo, non riconoscendo, non avvicinandosi all’altro che era nel bisogno. Questa pagina è un grande insegnamento per chi pensa di poter amare il Dio che non si vede senza amare il bisognoso che si vede…

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario anno A. La parabola dei talenti

Questa parabola non è un’esaltazione, un applauso all’efficienza, non è un’apologia di chi sa guadagnare profitti, non è un inno alla meritocrazia, ma è una vera e propria contestazione verso il cristiano che sovente è tiepido, senza iniziativa, contento di quello che fa e opera, pauroso di fronte al cambiamento richiesto da nuove sfide o dalle mutate condizioni culturali della società

XXXII Domenica del Tempo Ordinario anno A. “Vegliate, vigilate!”

Il ritardo della venuta finale di Gesù era un vero e proprio trauma per le prime generazioni cristiane. E noi attendiamo ancora il Signore veniente oppure abbiamo per la sua venuta lo stesso entusiasmo di quelli che aspettano l’autobus alla fermata? È nella capacità di vigilare, tenendo vivo qui e ora il desiderio dell’incontro con il Signore, che si gioca il giudizio finale, ossia l’essere o meno riconosciuti dal Signore quando verrà alla fine dei tempi

XXXI Domenica del Tempo Ordinario anno A. Dire e non fare…

Questo discorso è duro, e può meravigliarci di trovarlo sulla bocca di chi con misericordia perdonava i peccatori, mangiava con loro e li faceva sentire amati da Dio, anche se non meritavano tale amore. Gesù – possiamo dire – attacca i legittimi pastori del suo popolo, i dirigenti, quelli che erano riconosciuti esperti delle sante Scritture, che erano ritenuti maestri e modelli esemplari per i credenti. Sia però chiaro che queste sue parole vanno a colpire vizi religiosi non solo giudaici ma anche cristiani! Di più, questi rimproveri non vanno applicati generalizzando, ma vanno ripetuti per noi cristiani, noi che nella chiesa svolgiamo una funzione e sovente siamo ritenuti “uomini e donne di Dio”, secondo il linguaggio corrente

XXX Domenica del Tempo Ordinario anno A. Il comandamento più grande

Questo vangelo dovrebbe risuonare ai nostri orecchi non come un testo conosciuto e talmente ripetuto che supponiamo di averlo capito una volta per sempre, ma dovrebbe essere un’occasione per esaminare ogni giorno la nostra capacità di amare Dio e il prossimo. “Tu amerai”: in questa espressione sta tutta la nostra vocazione, tutto ciò che quotidianamente possiamo e dobbiamo cercare di vivere. Purtroppo noi contrapponiamo facilmente i due comandamenti o li mettiamo in concorrenza, ma guai a chi attua mefitiche distinzioni! Noi umani abbiamo un solo modo di amare in verità, e l’amore per il prossimo è il criterio per verificare il nostro amore per Dio

XXIX Domenica del Tempo Ordinario anno A. “Restituite a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”

Con questo famoso detto Gesù non voleva risolvere i nostri litigi e le nostre lotte politiche, perché ciò spetta alla nostra responsabilità che nasce da un discernimento che dobbiamo operare da noi stessi. Gesù non è stato e non ha voluto essere un Messia politico; e se ha confessato di essere Re, ha subito aggiunto di esserlo non come i re di questo mondo. Non è stato dunque un Cesare contro Cesare, ma ha rispettato e ha chiesto di rispettare l’autorità stabilita e di onorare i suoi diritti, in quanto autorità umana necessaria, sempre sottomessa alla complessità della realtà sociale e politica di un’epoca precisa. D’altra parte, restituire a Dio ciò che è di Dio significa rendergli un’umanità che non porta solo la sua immagine indelebile ma che si è fatta a lui rassomigliante: è il cammino dell’umanizzazione!

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario anno A. “Venite alle nozze!”

Di fronte alla chiamata che il Signore sempre rinnova, siamo pronti ad accedere al banchetto, senza dilazioni, o invece opponiamo alla parola del Signore molte ragioni personali, per non ascoltarla? E se partecipiamo al banchetto nuziale del Regno, vi andiamo mutando la veste del nostro comportamento, in una vera conversione, o invece finiamo per mentire con ipocrisia, entrando nell’alleanza con il Signore senza aver operato un reale cambiamento del nostro modo di vivere?

XXVII Domenica del Tempo Ordinario anno A. Il Figlio inviato nella vigna

Gesù racconta questa parabola alla vigilia della sua passione, proprio per quelli che la metteranno in pratica contro di lui, fino a rigettarlo fuori dalla città e a crocifiggerlo. Egli ha coscienza di essere il Figlio inviato dal Padre nella vigna di Israele, sa ciò che lo attende come fine della sua missione in questo mondo e non si sottrae a questa necessitas humana inscritta nella storia: in un mondo ingiusto, il giusto può solo essere rigettato fino a essere eliminato! Questa parabola risuona certamente come un giudizio di Dio: non però sul popolo d’Israele, ma su quei capi del popolo che hanno rigettato e condannato Gesù; allo stesso modo, anche sui capi della chiesa, delle chiese, tentati di sostituirsi al Signore, magari con il loro semplice stare al centro, sentendosi non servi dei servi, ma padroni.

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