Noi cristiani aspettiamo davvero l’evento della venuta nella gloria del Signore Gesù oppure non ci crediamo, lo consideriamo un mito? Ma è su questa venuta che si decide la nostra fede cristiana, la quale non è solo un’etica nello stare al mondo, non è solo l’adesione a una storia di salvezza, ma è speranza certa della venuta del Signore
Gesù è un “Re al contrario”, non ha il potere mondano, la gloria dei re della terra. Proprio nella nudità di un uomo trattato come schiavo, torturato, flagellato, finanche incoronato di spine, si rivela quale unico e vero Re di tutto l’universo, con una gloria che nessuno può strappargli: la gloria dell’amore vissuto e mai contraddetto.
Se il credente sa leggere la storia, aderendo alla realtà quotidiana della vita umana e ascoltando la parola di Dio che sempre risuona nel suo oggi, allora sarà pronto per l’ora della venuta temibile e misericordiosa del Signore: un’ora che solo il Padre conosce, un’ora in cui i figli di Dio dispersi saranno finalmente una comunione, che non conoscerà più né morte, né male, né peccato.
La povera vedova del vangelo si spoglia di ciò che le era necessario per vivere, di tutto ciò che aveva, non di una porzione di ciò che aveva. Questa donna è per Gesù un’immagine dell’amore che sa rinunciare anche a ciò che è necessario: ecco una donna anonima, ma una vera discepola di Gesù
La commemorazione dei fedeli defunti ogni anno offre un momento di silenzio e di riflessione. Molte famiglie sono state chiamate nel corso di quest'anno a vivere il distacco della morte, alcune di loro hanno dovuto farlo anche in modo drammatico
La beatitudine non è una gioia esente da prove e sofferenze, uno “stare bene” mondano. No, la si deve comprendere come la possibilità di sperimentare che ciò che si è e si vive ha senso, fornisce una “convinzione”, dà una ragione per cui vale la pena vivere. Questa felicità la si misura alla fine della sequela, nel Regno, perché durante il cammino è presente, ma a volte può essere contraddetta dalle prove, dalle sofferenze, dalla passione
Ogni lettore può identificarsi con il cieco Bartimeo. Deve solo prendere coscienza della propria cecità e gridare al Signore Gesù: “Abbi pietà di me!”, con piena fiducia che egli può salvarlo, cioè può strapparlo dalla tenebra e fargli vedere quello che i suoi occhi non riescono a vedere
Ecco la vera “costituzione” data da Gesù alla chiesa: una comunità di fratelli e sorelle, che si servono gli uni gli altri, e tra i quali chi ha autorità è servo di tutti i servi. Nella chiesa non c’è possibilità di acquisire meriti di anzianità, di fare carriera, di vantare privilegi, di ricevere onori: occorre essere servi dei fratelli e delle sorelle, e basta!
Nella sequela di Gesù si può abbandonare la famiglia carnale per un nuova famiglia, si può vivere il celibato nella fecondità dell’amore di Cristo, dei suoi fratelli e delle sue sorelle. Abbandonare tutto può essere, per alcuni chiamati dal Signore, destinatari dell’amore preveniente di Gesù e della sua misericordia, il loro “fare” in questo mondo.
Chi legge l’annuncio di Gesù sul matrimonio fedele non sta in uno spazio esente dal peccato, ma si deve sentire solidale con quanti, nel duro mestiere del vivere e nell’ancor più duro mestiere del vivere in due nella vicenda matrimoniale, sono caduti nella contraddizione alla volontà del Signore. Questo annuncio può solo e sempre essere ridetto alla luce della misericordia di Dio narrata da Gesù.