La festa della Pentecoste – cinquantesimo giorno dopo la Pasqua – costituisce la pienezza del mistero pasquale: Gesù Risorto, asceso al cielo e partecipe della signoria di Dio, adempie la promessa fatta ai suoi discepoli di inviare loro il Consolatore, lo Spirito santo (cf. Gv 14,16.26; 16,7).
La conclusione del Vangelo secondo Marco si ispira proprio ai racconti lucani e, operando una sintesi di tutti gli eventi riguardanti la resurrezione di Gesù, afferma: “Il Signore Gesù fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio”
“Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati”: ecco il comandamento dei cristiani, l’unico che, se attuato in verità, consente di riconoscere i discepoli di Gesù (cf. Gv 13,35)
Nelle ultime domeniche del tempo pasquale la chiesa legge alcune parole di Gesù riprese e meditate nei cosiddetti “discorsi di addio” del quarto vangelo. È infatti attraverso questi discorsi che ci parla il Cristo della Pasqua, il Signore glorificato attraverso la croce e la resurrezione.
Gesù dichiara: “Io sono il buon pastore”, letteralmente “il pastore bello”. La bontà e la bellezza di questo pastore che è Gesù derivano dall’atteggiamento che caratterizza la sua relazione con le pecore
Il vangelo odierno ci presenta un’ulteriore manifestazione di Gesù risorto ai suoi discepoli, quella narrata nell’ultima pagina del vangelo secondo Luca.
Assieme a Tommaso, dobbiamo inginocchiarci anche noi davanti al Risorto ed esclamare: "Mio Signore e mio Dio!". Non si tratta di un Dio o di un Signore qualunque, bensì del "mio" Dio e "mio" Signore. Il mio "Tu". La fede è proprio questo rapporto particolarissimo: dare del "tu" a Dio riconosciuto come Padre
"Erano le nostre colpe che sopportava... il castigo che ci ridona la pace è su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti, eravamo sbandati, come pecore, ognuno perso per la sua strada, jahvè ha fatto ricadere su di lui le colpe di noi tutti... Ed egli taceva" (Is. 53, 4-7). Sono parole che la Chiesa in questi giorni ci ripete spesso, adagio, a brani, perché noi possiamo lasciarle scorrere come olio dentro di noi, prenderne coscienza e interiorizzarle.
"Fate questo in memoria di me" significa: fate anche voi come ho fatto io. Giovanni lo dice apertamente: "da questo abbiamo conosciuto il suo amore: egli ha dato la vita per noi. Anche noi,, perciò, dobbiamo spendere la vita per i fratelli " (1 Gv. 3, 16).E' questa l'Eucaristia che crea la comunità e fa la Chiesa, come spiga cresciuta da quel chicco di grano caduto in terra e morto e che ha portato molto frutto. E' questa la Pasqua della Chiesa, con la quale ci apprestiamo a celebrare la Pasqua di Cristo e la nostra pasqua.
Dov’è finita – viene da chiedersi – la forza di Gesù, la potenza con cui egli liberava dalla malattia e dalla morte quanti ne erano segnati? “Ha salvato altri, non può salvare se stesso!” (Mc 15,31) – lo scherniscono i suoi avversari…