La Chiesa, invitandoci a preparare l'anniversario del Natale del Signore, ci orienta verso la sua ultima venuta, di cui noi continuiamo a rimanere in attesa. Pertanto la liturgia non si limita a ricordare il passato; ci dischiude un futuro ancora più radioso: colui che è venuto, verrà ancora.
Sulla croce la regalità di Cristo riceve l'ultima smentita e insieme l'affermazione più solenne. Per ben tre volte viene rivolta al re-crocifisso la sfida condita di scherni e di insulti: "Salva te stesso!".
Questo scenario drammatico permette a Gesù di rivelare l'altro verso della storia: "dare testimonianza". "Testimonianza" traduce la parola "martirio": il discepolo autentico del Signore non lo si vede nella celebrazione liturgica e la sua fede non la si può misurare neanche nell'ora del servizio ai poveri. Il cristiano vero è colui che dona la vita come il suo Signore e a causa del suo nome; è il seguace di Cristo che paga con il sangue la fedeltà alla sua sequela.
La vita che Dio ci prepara non è un semplice abbellimento o aggiustamento della vita che conosciamo. E neppure l'eliminazione delle storture più evidenti. Il nuovo supera la nostra immaginazione perché Dio ci stupisce continuamente con il suo amore. Quello che accade è esattamente il contrario di quello che si aspettavano i sadducei. Non è questa vita a fare da riferimento all'eternità, ma l'eternità a trasfigurare e a offrire una rotta diversa alla nostra esistenza.
Gesù accoglie Zaccheo prima della sua conversione. Non è la conversione che determina la simpatia di Gesù, ma è la previa simpatia di Gesù che provoca la conversione.
Dopo aver contemplato nella festa della comunione dei santi la Gerusalemme celeste, la sposa dell’Agnello tutta bella perché resa santa dal Signore (cf. Ap 21,2), oggi siamo invitati dalla chiesa a fare memoria dei morti. Festa di tutti i santi e memoria dei morti sono un’unica grande festa in cui si celebra il mistero della vita eterna in Dio e il mistero della morte nella fede: Gesù Cristo, «il primo nato tra coloro che sono morti» (Col 1,18), risuscitato dal Padre in risposta al suo modo di vivere l’amore fino all’estremo, trascina i morti nel fiume di vita della comunione dei santi.
Oggi facciamo memoria della comunione dei santi, contempliamo la mietitura di tutti i sacrifici viventi offerti a Dio, celebriamo la festa in cui risplende più che mai il corpo di Cristo nella storia.
La ragione che spinge Gesù a raccontare questa parabola è descritta all'inizio del brano: "Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri" (v. 9). Al fondo c'è una errata valutazione di sé dinnanzi a Dio, tanto da mettere in questione la propria salvezza.
Non è possibile pregare senza fede. Quante volte ci viene da chiedere: come mai Dio non ascolta la nostra preghiera e non fa regnare finalmente la giustizia nel mondo? Ma noi abbiamo veramente fede?La fede di cui parla Gesù, secondo Luca, indica la certezza che Dio c'è e agisce nella storia.
Nell'unico che è tornato, importante non è tanto l'atto del ringraziamento, quasi che Dio fosse in ricerca del nostro grazie, bisognoso di contraccambio. Il lebbroso è salvo non perché paga il pedaggio della gratitudine, ma perché entra in comunione. Con il proprio corpo, con i propri sentimenti, con il Signore.