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«Affido all’intercessione di S. Nicola il ministero episcopale e tutta la Chiesa di Bari-Bitonto»

Omelia di S.E. Mons. Giuseppe Satriano, Arcivescovo di Bari-Bitonto per la Celebrazione Eucaristica nella Pontificia Basilica San Nicola in Bari, domenica 7 febbraio 2021

Care sorelle e cari fratelli,

            sono grato al Signore per questa opportunità di grazia che oggi mi viene offerta, essere in questo tempio attraversato da secoli di storia e dalla fede di tante persone, che qui continuano a recarsi per venerare le reliquie del Santo di Mira.

            San Nicola rimane, nel susseguirsi dei giorni, il volto più bello di una Chiesa che ha posto le sue radici più autentiche nell’amore e nella ricerca della verità punto di riferimento identitario, di una sequela del Cristo capace di trasfigurare la vita.

            Oggi sono qui come pellegrino, mendicante di quella grazia necessaria a poter vivere quanto il Signore ha affidato alla mia povera persona: amare e prendermi cura della Chiesa di Bari-Bitonto, sua sposa.

            Da sempre, questa Chiesa locale, ha in San Nicola la sua icona rappresentativa più bella. Venerato come santo “miroblita”, egli pervade del profumo e della fragranza della sua santità il cammino ecclesiale della nostra gente. Pastore ricco di fede e ardente nella carità, ha segnato profondamente secoli di storia cristiana, rendendo Bari e la Puglia crocevia di culture e confessioni religiose aperte al Mistero di Cristo, ma anche snodo privilegiato per un ecumenismo di popolo, segnato da incontri e condivisioni ricchi di fraternità evangelica.

            Preziosa, da sempre, l’azione pastorale dei Padri Domenicani, che saluto nella persona del Rettore della Basilica Pontificia, fra Giovanni Distante, e del Provinciale dell’Ordine, fra Francesco La Vecchia. Le attività ecumeniche pensate e qui realizzate hanno imposto questo centro all'attenzione del mondo cristiano, ma anche a quello ebraico e musulmano.

            È in questo solco che pongo la mia vita di pastore, affidando all’intercessione di S. Nicola il ministero episcopale e tutta la Chiesa di Bari-Bitonto.

            Onorato di essere qui con voi e felice di condividere questa celebrazione eucaristica, vengo a quanto la Parola ci affida come nutrimento vitale per questo banchetto di vita.

            Il ritornello del salmo responsoriale: Risanaci, Signore, Dio della vita”, ci consegna il tema scandito dalle tre letture ascoltate: sulle nostre infermità, sulle miserie umane e le fragilità che ci abitano, il Signore Dio ha pronunciato una parola di misericordia e di speranza, Gesù Cristo suo figlio, morto e risorto. Tre passaggi incorniciano questo dato:

  • il quotidiano è lo spazio teologico in cui Gesù rivela l’amore del Padre;
  • Il dolore umano rimanda al vero male che attanaglia l’uomo: la chiusura all’altro;
  • La guarigione, la salvezza sta nel fare esperienza della Pasqua, ovvero della potenza salvifica di Dio che ci apre ad una nuova dimensione del vivere, all’oltre di Dio.

Andando con ordine e soffermando l’attenzione sulla prima lettura, Giobbe evidenzia come la vita umana si dimeni tra illusioni e dolore. Egli non riesce a vedere la fine del suo dolore; c’è una sorta di pessimismo nel suo parlare: “Ricordati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene” (Gb 7,7).

A questo grido di dolore, che prorompe dal cuore di Giobbe, quasi senza speranza, risponde il brano evangelico evidenziando la vicinanza solidale con cui Gesù si pone accanto a chi soffre, a chi è nella povertà, a chi vive ai margini. Quella di Gesù diviene una vera e propria opera di liberazione.

            Uscito dalla sinagoga, Gesù entra nella casa di Simone, passando dal luogo dell’assemblea orante al luogo domestico, alla vita di ogni giorno. Mentre nella sinagoga aveva guarito un uomo posseduto da uno spirito impuro, in casa di Simone ne guarisce la suocera a letto per la febbre.

Non è un passaggio irrilevante quello realizzato da Gesù. Egli agisce non più all’interno di un contesto sacrale, cultuale ma nella vita reale di ogni giorno. Il quotidiano diviene con Gesù lo spazio dove Dio opera e si manifesta.

            Marco evidenzia come il male e il dolore non risparmino alcuno spazio esistenziale e come l’azione salvifica del Cristo approda proprio in questi contesti, privilegiandoli. Gesù non fugge dinanzi al malessere di chi lo incontra ma ne sposa il limite, la sofferenza, come spazio privilegiato. Egli porge a noi la sua mano, proprio come fa con la suocera di Pietro, riabilitando l’esistenza alla relazione.

            Se il male piega, ferisce, divide, paralizza, isola, l’azione divina guarisce, risana, restituendo il vivere all’incontro, al condividere, al servire, alla “diaconia”. La narrazione del miracolo della guarigione della suocera di Simone ha una forte valenza ecclesiale. Gesù giunge a quella donna non per caso, ma perché introdotto dalla cura che i suoi discepoli mostrano avere nei suoi confronti: “subito gli parlarono di lei” (Mc 1,30b).

            Esito della guarigione è il mettersi a servire Gesù e gli altri discepoli. Colei che Gesù ha sanato ora si mette a servire tanto il suo guaritore, quanto coloro che parlando di lei a Gesù hanno esercitato una funzione di mediatori e intercessori in suo favore. Gesù suscita nel cuore di questa donna una risposta d’amore, di responsabilità che la porta a mettersi a disposizione della vita.

            Quella della suocera di Pietro è un’autentica risurrezione operata da Gesù e significata dal verbo usato: “Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò” (Mc 1,31).

            Il tocco dell’Amore di Dio libera il cuore da quanto ci rende schiavi, paralizzati nella capacità di amare. Il male può essere vinto solo se viene affrontato in maniera positiva mediante la solidarietà. La suocera di Simone attraversata dall’Amore del maestro viene liberata e si proietta in quella dimensione liberante del vivere che è il servizio. È questa la dimensione che restituisce alla vita la sua identità esistenziale più vera: quella del dono.

            Serve con amore solo chi comprende che tutto, nel suo esistere, è dono e che la sua stessa vita acquista senso solo nel donarla.

            Paolo, nella seconda lettura, esprime questo dover essere in maniera lapidaria: “Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annunciassi il Vangelo” (1Cor 9,16).

            Ciò che Gesù opera apre l’esistenza e tutto si riempie di vita: “Dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti malati che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni” (Mc 1,32-34). Siamo nel giorno dopo il sabato, “dopo il tramonto del sole”, evidenzia Marco, irrompe la forza risanatrice della Pasqua e l’umanità viene consegnata a quell’oltre di Dio in cui il peccato lascia il posto alla grazia, il dolore e la morte alla vita, e l’umanità ritrova il senso del suo cammino.

            “Risanaci, Signore, Dio della vita”.

Sì, risanaci non solo da questa pandemia che ci affligge e ci distrugge, ma anche dal virus mortifero dell’indifferenza, dell’autoreferenzialità che ci isola dagli altri e ci ripiega su noi stessi. Che senso avrebbe avere salva la nostra salute se il cuore tornasse a ricercare logiche egoistiche malate, segnate da quell’individualismo che ci ha portato a quel delirio di onnipotenza, causa di tutti i nostri mali.

            “Risanaci, Signore, Dio della vita”.

Sposando la nostra umanità, ci apri all’incontro con te e alla gioia del vivere. Guidaci, Signore, sulla via della prossimità, perché, nel servizio al Regno, impariamo a tessere reti di fraternità.

            “Risanaci, Signore, Dio della vita”.

Guariscici dal miraggio dell’autodeterminazione sul cui altare abbiamo sacrificato la vita di tanti nostri fratelli. Spezza le catene costruite dal potere del male che nel libero operare di lobby economiche e politiche ha posto la forza venefica del suo agire, minando il bene comune e la stessa sopravvivenza dell’umanità.

             “Risanaci, Signore, Dio della vita”.

Donaci la grazia di tornare ad apprezzare valori cristallini come quelli di Libertà e Verità, Amore e Responsabilità, restituendoli alla loro dimensione oggettiva di spazi in cui costruire un rinnovato rispetto alla vita. Il tuo Spirito, doni umiltà ai nostri cuori, per riconoscere il limite che abita in ognuno di noi, disponendoci sempre di più al servizio verso gli altri per sperimentare la forza dell’amore. Così sia.

† don Giuseppe, vescovo

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