
«L’Anno Santo sollecita tutti noi a riappropriarci della Speranza, in quanto specifico della vita cristiana»
Abbiamo vissuto l’inizio del Giubileo, nella notte di Natale, con l’apertura della Porta Santa, nella Basilica di San Pietro.
Anche noi, in comunione con la Chiesa di Roma e con tutte le Chiese sorelle della cattolicità, attraversando la porta della nostra Cattedrale apriamo l’Anno Santo, anno di grazia e di speranza, anno di misericordia e rinascita che auspichiamo per tutti.
Siamo chiamati a metterci in viaggio, a vivere un pellegrinaggio del cuore che ci conduca a contemplare Colui che è via, che è verità e che è vita.
Come popolo di Dio abbiamo attraversato la soglia di questa amata Chiesa Cattedrale significando il desiderio di un rinnovato impegno a vivere l’incontro salvifico col Cristo Gesù, incarnazione dell’amore infinito del Padre; salvezza sempre invocata e sempre attesa.
Con Lui, il Signore della vita che rinasce, desideriamo andare oltre noi stessi per ritrovare quella luce che da sempre ci abita.
Giovanni nella seconda lettura di oggi, lo afferma con grande slancio: “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (1Gv 3,1).
Questo Anno è Santo perché torna a ravvivare il mistero di Dio che vive in noi, un mistero d’amore spesso dimenticato a cui invece apparteniamo da sempre.
I giorni di questa ottava di Natale sono giorni di grazia,
giorni di stupore, dove Dio si fa strada nel grembo della nostra vita, della nostra storia, attraverso fatiche e meraviglie.
La Provvidenza ha voluto che l’apertura dell’Anno Santo in diocesi coincidesse con la Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, offrendoci un'opportunità unica per riflettere sul significato profondo della santità della famiglia di Nazaret.
La prima lettura e il Vangelo ci presentano la postura significativa con cui due famiglie, due madri lontane nel tempo tra loro, vivono la propria relazione con la vita e con Dio. C’è un comune denominatore nei loro atteggiamenti. Entrambe, Anna e Maria, hanno consapevolezza che ciò che la vita ha compiuto nel proprio grembo non appartiene a loro, non è un puro fatto biologico. C’è un oltre da cui tutto proviene e in cui sono chiamate a entrare.
Anna comprende bene che Samuele è frutto dell’ascolto della preghiera accorata rivolta a Dio, e ridona il suo amato figlio al servizio del Tempio del Signore: Samuele sarà un grande maestro per Israele.
Maria, mediante le parole del figlio si confronta ancora una volta col progetto di Dio. Parole forti quelle di Gesù, che scendono nel suo cuore di madre, restituendole il mistero di amore e santità che avvolge la sua famiglia.
Sia Anna che Maria si lasciano condurre dentro il mistero di un amore grande, collocando sé stesse e la propria famiglia nell’abbraccio di Dio.
Ecco miei cari, quest’anno sarà Santo se sapremo lasciarci condurre all’incontro col Signore a cui apparteniamo e verso cui siamo chiamati a metterci in cammino, riprendendo il viaggio della fede.
Quanto Gesù dice alla Madre e a Giuseppe aiuta anche noi ad orientarci: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49).
Il testo greco è più chiaro: “Non sapevate che io sono nelle cose del Padre mio”. Questo ci aiuta a comprendere il senso della scomparsa di Gesù dalla carovana, il suo aver lasciato in disparte il vissuto del clan per raggiungere il Tempio.
Gesù non è più accanto ai suoi parenti, egli si pone oltre, un vero e proprio atto pasquale. Le sue parole ci interpellano. Anche per noi c’è un oltre a cui appartenere: la santità di Dio.
Spesso offuscata dalle nostre scelte miopi ed egoistiche, la santità di Dio avvolge la nostra esistenza e ci invita attraverso il battesimo a essere realmente figli suoi.
Riappropriarci di questa comunione, in Cristo nostro Salvatore, è ritornare a essere segno di speranza per chi vive nel buio ed è lacerato dalla fatica dei giorni.
L’Anno Santo, voluto da Papa Francesco con questa particolare declinazione, sollecita tutti noi a riappropriarci della Speranza, in quanto specifico della vita cristiana. Sì, la Speranza è una ricchezza tutta nostra, che non abbiamo ereditato da altre culture, ma che riceviamo come puro dono del Dio rivelato da Gesù Cristo. Nella mitologia greca, infatti, dal cui bacino pure attingiamo numerosi valori e immagini che si integrano profondamente con la fede cristiana, la Speranza è addirittura un male, rimasto imprigionato sul fondo del vaso della sprovveduta Pandora.
In tutta la Sacra Scrittura, la Speranza è protesa verso il futuro messianico, verso la pienezza finale, anche se spesso, all’interno della storia, sembra che il tempo sia attirato dall'abisso della disperazione, proprio come ci rimanda il libro di Giobbe:
“I miei giorni scorrono veloci come una spola, svaniscono senza un filo di speranza” (Gb 7,6),
e ancora:
“La mia speranza dov’è nascosta? Qualcuno ha intravisto la mia felicità?” (Gb 17,15).
L’Anno Santo, invitandoci alla Speranza, diviene forte incoraggiamento ad avanzare con audacia, sapendo tenere alto lo sguardo verso la meta della piena redenzione, “pronti”, come afferma Pietro ai cristiani del suo tempo, “a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi” (1Pt 3,15).
Vivere l’Anno Santo è entrare in un processo generativo
che affonda le sue radici nella forza nella Santità di Dio. Il pellegrinare, il metterci in viaggio, l’attingere al tesoro della misericordia del Signore, ci renda testimoni dell’amore del Padre, in Cristo nostra Speranza.
Egli non regala giudizi ma opportunità, sempre pronto a ricalcolare il nostro cammino nell’infinita pazienza di ricominciare.
È facile la Speranza se siamo pronti a rinascere, se desideriamo risorgere dalla tomba dei nostri peccati, se non abbiamo paura di riconciliarci con Dio e con i fratelli.
Solo allora, come la Santa Famiglia di Nazaret immagine della Chiesa, anche noi saremo comunità di vita aperta al mistero, spazio vivace dove s’impara a vivere l’esodo da sé stessi per divenire veri figli di Dio.
Solo allora il nostro agire sarà respiro di vita nuova, fermento di fraternità, in un mondo desolato e lacerato; solo allora lo stupore fiorirà sui volti di chi incontriamo e il Signore, speranza del mondo, come piccolo seme fiorirà nel solco della storia liberandoci dalle lamentele e dai risentimenti.
Guardiamo al nuovo che nasce e lasciamo che quest’anno ci introduca nel cuore del Signore, per assaporare l’abbraccio del Padre.
In questo momento il mio pensiero va ai carcerati, agli ammalati cronici, a chi lotta con un tumore o una malattia incurabile, agli sfiduciati, ai mortificati dalla vita e dal prossimo. Per tutti e ciascuno, per me e per voi invoco misericordia.
Il Signore c’è e non ci lascia soli.
Coraggio sorelle, coraggio fratelli prendiamo tra le mani la nostra vita e offriamola al Signore:
Siamo qui, dinanzi a te,
Padre della vita,
pellegrini di speranza,
in ascolto del tuo Figlio,
in ascolto del futuro.
Tra le fatiche della storia,
aiutaci ad alzare il capo
per guardare, con fiducia piena,
alla meta della redenzione:
la comunione con Te.
Il tuo Santo Spirito,
ci ancori al Cristo Signore,
porta di salvezza,
gioia del vivere,
verità di luce per chi cerca.
Come Maria,
rendici testimoni di speranza.
Conforto per chi è nella sfiducia;
abbraccio ospitale, per chi è nel dolore;
sguardo d’amore per chi è perso.
Il Giubileo sia ritorno a casa,
approdo ricco di speranza per il mondo,
grazia traboccante di misericordia per tutti.
Amen
✠ Giuseppe Satriano
Arcivescovo