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«Se noi citiamo don Tonino dobbiamo cambiare uno stile di vita»

Omelia di S.E. Mons. Giuseppe Satriano, Arcivescovo di Bari-Bitonto per il 41° anniversario dell’ordinazione episcopale di don Tonino Bello - Chiesa Matrice di Tricase, 30.10.2023

È una grande emozione essere qui, in questa chiesa, dove don Tonino ha vissuto e ha maturato il suo sacerdozio, divenendo poi vescovo; e per me è stato un grande onore quando eravamo in pullman e Sua Eccellenza, il caro don Vito – eravamo a Lisbona –mi ha detto: “Vedi che il 30 ottobre noi celebriamo l'anniversario di don Tonino. Che fai vieni?”.  Siccome avevamo fissato, proprio per oggi, quell'incontro su don Tonino che faremo domani a Bari, ho detto: “Fammi vedere se riusciamo a spostarlo. Perché è una gioia chiaramente, ma vediamo un attimo”. E quindi la cosa è avvenuta.

È un grande onore; tante volte sono stato invitato anche a scrivere su don Tonino, ma non ce l'ho fatta; non è, come dire, umiltà, ma proprio perché è tale e tanto il bagaglio di emozioni che il suo solo nome mi ricorda, che quando devo mettermi a scrivere e a fare qualcosa non so da dove cominciare. Ultimamente è stato pubblicato un libro con tutte le omelie di cardinali e vescovi che hanno parlato di don Tonino, ma io non sono riuscito a partecipare. Mi hanno detto: “Guarda ti diamo ancora del tempo”, ma io non ce l'ho fatta; mi sono messo tante volte, ma non ci sono riuscito.

Come per oggi, ho provato a scrivere un’omelia, ma non mi è venuta e allora mi sono fermato sulla Parola di Dio. Poi ho pensato a qualcosa da dirvi, ma volevo ringraziare in questo momento don Vito, il vostro vescovo, perché, con il suo magistero, con le sue competenze, è stato capace di sviscerare di figura di don Tonino sotto vari aspetti, andando a pescare, in una ricerca meticolosa, attenta e con uno sguardo appassionato di vescovo, questa figura che spesso noi leggiamo su un certo livello, su un certo piano, e che lui ha saputo, in maniera poliedrica, rendere presente attraverso le sue numerose pubblicazioni. Questa sera sento proprio un debito morale per quello che anche lui ha fatto, nei confronti del percorso della causa di beatificazione che aspettiamo, che attendiamo e che sta per completarsi. Così come sento un debito morale anche nei confronti di monsignor Cornacchia e di tutto l'episcopato pugliese, che ha saputo, in maniera attenta e corale, accompagnare questo processo.

Non è stato sempre così. Non è stato sempre così, perché la vita va così. ‘Nemo est propheta in patria’ è una parola antica, che esprime quanto si faccia fatica ad accettare una novità. Vedete oggi il Vangelo: coloro che contestano l'operato di Gesù poi si vergognano, segno che egli non aveva detto delle cose sbagliate, ma aveva operato bene. Tuttavia il suo operare metteva in discussione ciò che si viveva, ciò che era stato acquisito, ciò che si era cristallizzato in uno stile di vita, che tutti ritenevano normale, ma che era sbagliato.

Questo accade anche nella nostra esistenza di ogni giorno, quando qualcuno ci viene a ‘sgridare’ con la sua testimonianza, con la sua ‘parresia’, con la sua capacità di vivere con franchezza e immediatezza una vita evangelica. Ci mette in difficoltà, perché diventa uno specchio dinanzi al quale facciamo fatica a reggere il confronto. Ero un giovane sacerdote, da poco diventato vicario generale, e incontrai don Agostino Superbo, che era stato nominato postulatore della causa di canonizzazione di don Tonino e dissi: ‘Don Agostino, ma perché voi vescovi avete paura di citare don Tonino?’. Ricordo ancora, come fosse ieri – eravamo a Matera – che don Agostino mi disse: “Giuseppe, lui è stato mio professore. La risposta è semplice: se noi citiamo don Tonino dobbiamo cambiare uno stile di vita”. Ed è così. È così.

Non perché ci sia una colpa, ma perché il Signore suscita i santi e i profeti nella nostra vita, perché noi purtroppo siamo un po' come il filo del telefono. Le cornette telefoniche, che avevamo nelle nostre case, si attorcigliavano su se stesse: tu le sbrogliavi, ma poi si andavano ad attorcigliare nuovamente. Non perché ci sia la volontà di farlo, ma perché la vita ti conduce a entrare in un guscio rassicurante, che ti schiaccia, che ti appiattisce, che ti fa dimenticare il vigore, la gioia e l'audacia del Vangelo.

Don Tonino è stato una campana, che il Signore ha fatto suonare nella vita della nostra Chiesa, della chiesa di Puglia, ma anche nella nostra vita di Chiesa nazionale. Poi ce ne sono state altre in quel periodo, che io non posso dimenticare. Non posso dimenticare monsignor Mariano Magrassi – lo dico sempre che noi seminaristi crescevamo a pane e Magrassi in seminario – poi è arrivato il cardinale Martini, e siamo cresciuti a pane e Martini; nel frattempo è arrivato don Tonino e abbiamo cominciato a leggere e a gustare l'opera di questo vescovo che è diventato una figura profetica all'interno del panorama della nostra vita ecclesiale.

Se noi dobbiamo partire dalla Parola di questa sera, alcune suggestioni diventano importanti. Paolo, nella prima lettura, al versetto 16 del brano che ci è stato offerto, parla di un’alleanza, di una relazione profonda tra lo Spirito creatore e la scintilla divina posta nel cuore della nostra esistenza. Le meraviglie di Dio nascono da questo incontro, da questa capacità di fondersi, tra l'azione dello Spirito e ciò che portiamo dentro il nostro cuore.

Questo ci rende figli e pienamente eredi di Cristo, partecipi del suo cammino, come abbiamo ascoltato. Ed è in questa luce che siamo chiamati a leggere anche il brano del Vangelo, nel quale una donna curva, schiacciata, simbolo eloquente di un'umanità affaticata dal peccato, dalla vessazione del maligno, viene vista da Gesù e viene restituita alla sua dignità di donna, di persona, di figlia di Dio.

Tutto questo scombussola e destabilizza coloro che, invece, avrebbero gradito che tale azione fosse accaduta in un giorno non segnato dalla legge del Signore. E Gesù, con grande maestria, interviene facendo cogliere l'ipocrisia nella quale talvolta si cade, assolutizzando una legge al di sopra della persona, che è la creatura più grande dinanzi alla quale Dio stesso ha fatto un passo indietro, perché esistesse. E don Tonino ha saputo incarnare questo atteggiamento, ha saputo – come devo dire – farci cogliere, dal profondo del suo magistero, la presenza dello Spirito che agisce nella storia della Chiesa, nella storia e nella vita di ciascuno di noi.

Voglio citarvi una frase che mi ha sempre accompagnato e che sento importante: “Lo Spirito è più vicino alla Terra di quanto non si pensi”. Chi ha gli occhiali non vede le lenti, ma attraverso di esse vede tutto. Don Tonino è stato un uomo trasfigurato dallo Spirito; un uomo che ha lasciato che la scintilla, posta nel suo cuore, infiammasse la sua vita e la sua vita è stata capace di vedere tutto.

Gesù vede quella donna, così come don Tonino mi ha educato e ci ha educato a vedere il fratello sofferente, la persona, pur vestita dignitosamente – in abiti eleganti, dice lui – ma con il sottile distintivo della sua povertà e della sua fragilità. Erano quelli che lui chiamava i ‘drop out’, quelle persone che venivano scaricate dalla vita e di cui nessuno si accorgeva.

A tal proposito vi racconto un'esperienza bellissima, vissuta con lui, quando eravamo in seminario. Come seminaristi del mio corso chiedemmo ai vescovi di non rimanere arroccati nel seminario – l'incontro con don Tonino ci aveva già sollecitato e pensavamo che tanti seminaristi, del seminario di Molfetta, non potevano rimanere chiusi solo a studiare, pregare e formarsi. Potevamo anche interagire con quella città, non solo attraverso le esperienze pastorali, che si facevano in alcune parrocchie, ma proprio insieme, come seminario, soprattutto nel triennio. Questa cosa fu chiesta al rettore attraverso il padre spirituale; poi il rettore lo chiese ai vescovi. Primo fra tutti fu interpellato don Tonino, che era il vescovo di Molfetta e il vescovo anche della disciplina. Don Tonino prese la palla al balzo e disse: “È una bella idea. Faremo una missione popolare alla Madonna dei Martiri”.

La cosa ci piacque, fummo lasciati liberi, ognuno si iscrisse, io fui uno tra quelli che prese parte. Fummo divisi a due a due, mandati come i discepoli, e ricevemmo le istruzioni da don Tonino, che ci radunò nell'aula magna e disse: “Ragazzi, è mia intenzione entrare in questo quartiere, in questa comunità dove lavorano i frati, per cogliere meglio cosa si vive in questo angolo della città di Molfetta, dove ci sono tantissime fatiche: lavoro minorile, lavoro nero, promiscuità, famiglie allargate”. Allora non si parlava di famiglie allargate, ma esistevano: era il quartiere dei marinai, c'erano bambini che andavano a lavorare al mattino nei panifici e poi si recavano a scuola, per aiutare la famiglia ad andare avanti. Case popolari, case umili, case povere. E ogni sera don Tonino veniva in seminario e ascoltava le nostre narrazioni. Voleva sapere da noi che cosa avevamo visto, come l'avevamo interpretato; lui ascoltava pazientemente tutti i racconti, poi chiudeva e ci aiutava a vedere quello che non avevamo visto. Ci aiutava ad andare al di là dell'apparenza e a cogliere la bellezza anche di particolari che a noi sfuggivano. Lo Spirito che ti permette di vedere tutto!

Don Tonino era veramente figlio di Dio e sentiva dentro l'urgenza di restituire dignità alla gente, alle persone che incontrava. Ma l'esempio più bello – perdonatemi se incedo su questi fatterelli, ma sono poi quelli che danno sapore alla mia vita – è un altro. Era per me il terzo anno di seminario, quando mi arrivò una telefonata: “Satriano giù in portineria, il vescovo di Molfetta ti desidera al telefono”. Quando ti telefonava il vescovo di Molfetta, il vescovo della disciplina, voleva dire che avevi fatto qualcosa. “Che cosa avrò fatto?” pensavo tra me. Arrivai lì in portineria, presi il telefono, lo accostai all’orecchio: “Sei tu il seminarista Giuseppe Satriano?”. “Si”. “Tu vai a insegnare alla Cesare Battisti?”. “Sì, le venti ore integrative di religione cattolica, mi dica Eccellenza”. “Avvisa il direttore didattico che giovedì prossimo, se possibile, vorrei venire a salutare i ragazzi e gli insegnanti. Sai suonare la chitarra?” Ho detto io: “Mah, suonare la chitarra è una parola molto grossa”. “Il giro di do lo sai fare?”. “Sì, me la cavo”. “Poi ti insegno io qualche altra cosa, tu porta la chitarra”. Non sapevo che cosa avremmo dovuto fare. Avvisai il direttore didattico e diedi conferma alla segreteria di don Tonino che c'era disponibilità.

Quel giorno lo aspettavo sulla porta della scuola, quando lo vidi arrivare con un baule e la sua Cinquecento. Scese con questo baule e dissi: “Eccellenza, La aiuto?”. “No, no, no. Sai cosa c'è qui dentro?”. “No”. “La fisarmonica; tu hai portato la chitarra?”. “Sì”. “E allora dobbiamo fare un bel concerto”.

Insomma, radunammo tutti i bambini e gli insegnanti, facemmo un giro di canzoni popolari, tutti a cantare, tutti a battere le mani, insegnanti compresi; lui stette cinque minuti con i bambini, disse due parole agli insegnanti ed erano tutti felici, tutti radiosi; in tre quarti d'ora avevamo finito la visita.

Mentre uscivamo, gli ho detto: “Don Tonino, che bella questa cosa; mai visto un vescovo che suona uno strumento”. Rispose: “Ma questo appartiene alla mia vita, io non posso vivere senza la mia fisarmonica”. “Ma mi fa capire una cosa? Perché lei sta girando le scuole? Non dovrebbe girare le parrocchie, visto che è appena arrivato a Molfetta?”. E lui mi disse: “Vedi Giuseppe, io ci ho pensato quando sono arrivato a Molfetta e mi sono chiesto chi sono gli ultimi in questa città. La risposta che mi sono dato è stata: i ragazzi, i più piccoli, i bambini e gli anziani. Per cui ora sto andando a visitare le scuole dell'infanzia, scuole materne, scuole elementari e gli ospizi; poi andrò nelle parrocchie”. Chi avrebbe pensato a quei tempi di fare una cosa del genere? Ecco, ti accorgevi che avevi di fronte un uomo che aveva uno sguardo diverso.

Nel brano ascoltato Gesù vide e chiamò questa donna schiacciata, restituendole dignità, restituendole la sua vita di donna, restituendole la sua dimensione di figlia; e lo fa nel giorno di sabato, il giorno in cui la creazione trova la sua pienezza, secondo il racconto della Genesi. Gesù restituisce in pienezza. Ecco, ho capito che, o il mio ministero sacerdotale doveva essere vissuto così, oppure il mio sacerdozio non avrebbe avuto gioia. E mentre don Tonino si allontanava con la borsa, dissi: “Signore, un pezzettino anche a me della sua vita, un pezzettino”.

Da quando sono sacerdote – lui è morto dopo alcuni anni che ero già sacerdote – il cimitero dove è sepolto è per me un punto di pellegrinaggio, dove mi reco quando devo fare delle scelte, quando sto vivendo dei momenti difficili, quando devo anche raccomandare delle persone care. Perché la sua intercessione per me è viva, è vera; il suo essere Pastore è stato per la mia vita, ma per la vita di tanti, soprattutto per la vostra, che l'avete conosciuto, un grande dono.

Allora vorrei chiudere con molta semplicità, con una sua riflessione pasquale, che è ricca di vibrazione, è ricca di forza ed è ricca di speranza. Quello che don Tonino ha saputo sempre donare a chi lo incontrava era tanta speranza, tanta fiducia, tanta capacità di guardare oltre. Quanto resta della notte? Resta poco della notte.

Vorrei parlarvi a lungo – dice don Tonino – di tombe vuote, come grembi materni dopo il parto, di macigni che rotolano dall'imboccatura dei sepolcri, di pianti accorati di donne, che cercano tra i morti il Vivente; vorrei parlarvi ancora di primavere che irrompono, come segni di tempi interiori e di stagioni spirituali fiorenti, sotto l'urto della Grazia, di alberi incatenati, che mutano in danza il lamento degli uomini. Vorrei parlarvi a lungo di Lui, Risorto, con le stigmate del dolore, di schiavitù sconfitte, di catene rotte, di abissi inebrianti di libertà. Ma come tradurrò in termini nuovi l'annuncio di liberazione, io successore degli Apostoli? Ecco forse solo con una preghiera: Aiutaci Signore a portare avanti nel mondo, e dentro di noi, la tua Risurrezione, donaci la forza di frantumare tutte le tombe, in cui la prepotenza, l'ingiustizia, la ricchezza, l'egoismo, il peccato, la solitudine e la malattia, il tradimento, la miseria, l'indifferenza, hanno murato gli uomini vivi e mettici una grande speranza nel cuore”.

Che Dio vi benedica e così sia!

Giuseppe Satriano, Arcivescovo di Bari-Bitonto

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