«Nell’assumere la forma del pane torneremo a nutrire di comunione i nostri vissuti»
Sorelle e Fratelli,
desidero accogliervi con gioia e gratitudine in questo giorno a voi dedicato, giorno di luce e di grazia per la vita di ciascuno di voi e per la Chiesa tutta.
Quella che stiamo vivendo è per me una celebrazione particolarmente significativa. Incontrarvi all’inizio del mio ministero, è fare esperienza di una “cascata” di vita donata.
Una vita donata a Dio e che ha il profumo della comunione fraterna; una vita donata alla Chiesa ma che si apre all’incontro con le genti.
La Parola vibrata nell’assemblea liturgica ci ha consegnato passaggi significativi, che marcano l’incontro tra l’umano e divino. La luce del Natale si confonde con la luce pasquale, mentre intravediamo nel bambino donatoci, l’agnello sacrificale, consegnato e offerto.
Malachia, l’ultimo testo profetico nella Bibbia ebraica e l’ultimo dei libri dell’Antico Testamento, presagisce l’avvento del Signore invitando ad una purificazione radicale. Il Signore viene nel suo Tempio e chiede innanzitutto la purificazione dei sacerdoti e dei leviti.
Loro colpa, infatti, è quella di mettere al primo posto l’esercizio del culto, dal quale traggono vantaggi materiali, abbandonando le vere esigenze che il rapporto con Dio richiede e, di conseguenza, trascurando i bisogni più urgenti del popolo loro affidato.
Quello indicato da Malachia è un incontro a cui prepararsi, rendendo la vita spazio ospitale per Dio e per i fratelli.
Luca, nel Vangelo, ci presenta una giovanissima coppia che porta al Tempio la più preziosa delle offerte: un bambino. Giuseppe e Maria vengono nella casa del Signore e sulla soglia è il Signore che viene loro incontro attraverso due creature impregnate di esistenza vissuta e di Spirito divino, due anziani, Simeone e Anna, stanchi per la vecchiaia, ma giovani per il desiderio.
Bella l’affermazione con cui Simeone chiude il suo saluto: “Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima – affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”.
L’incontro con Cristo, sembra dirci l’evangelico vegliardo, diviene momento di purificazione e rinascita poiché la sua presenza in noi rivela la contraddizione di quell’illusorio equilibrio che spesso costruiamo tra il dare e l’avere, privandoci della gioia del donare totalmente noi stessi a Dio.
Simeone e Anna ci svelano il vero segreto dell’eterna giovinezza che, per noi consacrati, si traduce in un affidamento continuo e gioioso, anche tra le difficoltà, l’avanzare dell’età di ciascuno e la penuria di vocazioni.
Poveri di nostalgia e rapiti dallo stupore della grazia, siamo chiamati non ad un tempo di bilanci, ma di speranza.
Solo accogliendo la chiave interpretativa del dono sapremo attrarre al Signore. È nell’assumere la forma del pane che torneremo a nutrire di comunione i nostri vissuti, restituendo sapore alle relazioni quotidiane e scrivendo pagine nuove nella storia della salvezza.
È innegabile che il tempo duro della pandemia, con le sue restrizioni, ci stringe sempre di più nei confini angusti del nostro vivere, riempiendoci di paure e di smarrimento.
Nonostante questo, l’umanità ferita di tanti, fratelli e sorelle, bussa alle porte dei nostri contesti vitali, interpellando e provocando la vita di ciascuno e delle nostre comunità.
Quanto ascoltato è un chiaro invito a non perdere il contatto con lo Spirito di Dio, coltivando quella dimensione contemplativa del vivere che ci aiuta a cogliere il filo rosso che lega la nostra esistenza a quanto accade intorno a noi.
Incontro e Dono sono gli assi cartesiani su cui si dispiega la vita consacrata che solo attraverso queste due dimensioni sa coniugarsi in fraternità autentica. Quella fraternità capace di inclusione, di testimonianza verace nel rendere visibile l’amore del Padre per tutti i suoi figli.
L’aver incontrato il Signore e l’essersi consacrati a Lui ha segnato l’espropriazione dei nostri cuori che sono divenuti “spazi confiscati” a logiche egolatriche.
Siamo serve e servi della comunione ed è attraverso questi nostri poveri cuori che Dio, oggi, desidera tracciare percorsi nuovi, semplici, veri che abbiano il profumo e la fragranza del pane. Percorsi fraterni dove la vita si apre alla vita, mediante il servizio, la condivisione, il rispetto, in una parola: il dono di sé.
È inutile pensare di trasmettere una fede alle future generazioni senza fornirle di una grammatica umana. I nostri giovani hanno bisogno di sapere cosa la fede gli dice nel quotidiano, nella vita, negli affetti, nelle storie d'amore, nel lavoro, nell'incontro con gli altri.
È per tale ragione che, solo nella consegna di noi stessi all’Oltre di Dio, ritroveremo l’eterna giovinezza del Vangelo, capace di renderci belli e attrattivi agli occhi del mondo.
Auguri mie care sorelle e miei cari fratelli, coraggiosi alpinisti dello Spirito - così come vi definì il papa Paolo VI -: nel quotidiano dei vostri vissuti traspaia sempre la bellezza del volto di Cristo come messaggio di tenerezza per il mondo. Dio vi benedica ed io con Lui.
Auguri e buona vita.
† don Giuseppe, vescovo