Dies Natalis di Mons. Alberto D'Urso
È il mistero di Cristo, morto e risorto, a radunarci intorno a questo altare per salutare un nostro fratello sacerdote e celebrare la vita che, nonostante la morte, attesta sempre il suo potere di grazia.
Questa celebrazione esequiale, nonostante il dolore per la perdita di una persona che ci ha amato e che abbiamo amato, porta in sé la luce del Risorto e la speranza che da essa scaturisce.
La vita dei Santi Anargiri, Cosma e Damiano, di cui oggi si celebra la memoria liturgica e di cui la Fondazione Antiusura di Bari porta il nome, come anche l’esistenza stessa del nostro caro don Alberto, attestano la forza di un amore grande che ha vinto la morte e che si riversa sull’umanità attraverso uomini e donne, innamorati di Cristo, che sanno essere veri canali di grazia, con la loro esistenza.
Proprio ieri, Papa Francesco, nella sua omelia durante la celebrazione eucaristica per il XXVII Congresso Eucaristico Nazionale di Matera affermava: “ La nostra vita sia frumento macinato, diventi pane che sazia i fratelli … sogniamo una Chiesa eucaristica, fatta di donne e uomini che si spezzano come pane per tutti coloro che masticano la solitudine e la povertà, per coloro che sono affamati di tenerezza e di compassione, per coloro la cui vita si sta sbriciolando perché è venuto a mancare il lievito buono della speranza”.
Parole inequivocabili sul senso che la vita cristiana è chiamata ad assumere, a partire dall’incontro con Gesù.
Parole lapidarie dal sapore antico che ci riportano all’odierna liturgia nella quale attraverso il libro di Giobbe viene proposta a tutti noi una postura fondamentale del vivere da cristiani: l’essere nudi davanti a Dio.
Giobbe si lascia attraversare dal male senza farsi schiacciare. Dopo aver appreso la notizia che tutti i suoi beni e tutti i suoi figli sono venuti meno in circostanze drammatiche, Giobbe implode in un dolore raccolto e pieno di dignità.
Tutto si concentra in una professione di fede, dalla struggente bellezza, quasi irreale:
“Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!” (Gb 1,21).
Essere nudi … una condizione essenziale per la vita cristiana che comporta un cammino arduo, in cui operare un esodo significativo, da una forma infantile di vita, autocentrata e capricciosa, a una ricca di semplicità come quella di un bambino, sempre aperto allo stupore e all’inedito di Dio.
Luca nel Vangelo lo pone in evidenza attraverso le parole che Gesù rivolge ai suoi, troppo preoccupati dall’acquisire riconoscimenti, o, come Giovanni, in pensiero per l’essere stati scavalcati da qualcuno nell’esercizio di un ruolo, quello di esorcista, che pensava gli appartenesse di diritto.
Come ci ricordava ieri il Papa e come oggi la liturgia attesta, la grandezza di un’esistenza sta nel farsi piccoli al servizio della vita povera e sofferente, vivendo la nudità dell’amore.
Mi piace quanto afferma Ermes Ronchi in una sua riflessione:
“Gesù, uomo senza frontiere, ci ripropone il sogno di un mondo di uomini le cui mani sanno solo donare, i cui piedi percorrono i sentieri degli amici, un mondo dove fioriscono occhi più luminosi del giorno, dove tutti sono dei nostri, tutti amici del genere umano, e per questo tutti amici di Dio”.
Don Alberto, nella semplicità del vivere, nella caparbietà del carattere, nell’audacia delle intuizioni, ma soprattutto nel suo amore grande per il Signore e i fratelli, ha cercato di vivere così. Ha coinvolto, spronato, aiutato e sostenuto tanti nel condividere il sogno dell’Antiusura, in Regione e in tutta Italia.
Il suo impegno e la sua dedizione, senza limiti, hanno convinto e coinvolto tanti volontari nel divenire esperti operatori del settore, permettendo sia al tessuto ecclesiale che sociale di essere innervato di una rinnovata sensibilità al flagello dell’usura.
Tanti sono coloro che, in cerca di aiuto, si sono rivolti a don Alberto e alla Fondazione: veri “malcapitati della storia”, vittime di vizi e paure, proprie di questa nostra società, sempre più edonista ed esposta alle speculazioni finanziarie che le varie crisi economiche hanno innescato.
Don Alberto li considerava tutti come fratelli “aventi diritto a una seconda opportunità. E se qualcuno, per una qualsiasi ragione, era per terra bisognava aiutarlo a rialzarsi, qualunque fosse stata la causa”.
Un apostolato, quello di don Alberto, nutrito della sana passione pastorale cresciuta e qualificatasi nel lungo ministero parrocchiale a Santa Croce e alla scuola degli ottimi pastori della diocesi, che lo avevano accompagnato e seguito sin dalla sua ordinazione presbiterale.
Caro don Alberto, il tuo semplice vivere ha comunicato la serena certezza di un Dio che ci accompagna e si fa carico del nostro andare.
Anche lo zelo da te posto nella cura dei sacerdoti attraverso l’Unione Apostolica del Clero (UAC) ha sollecitato il nostro presbiterio a saper tendere il cuore all’amore del Signore e dei fratelli presbiteri. Ci hai invitato alla fraternità e all’ascolto della Parola per sottrarci alla sordità di un vivere, troppo spesso avviluppato dallo sterile faticare dei giorni e dal respiro corto delle nostre scelte.
Ti salutiamo nella fede, piccolo-grande uomo che hai saputo fare della tua esistenza un dono a Dio e ai fratelli; uomo che, nudo come Giobbe, torni alla terra, rivestito della solidarietà e condivisione vissuta. Con te bussiamo alla porta della misericordia del Padre dove, siamo certi, troverai le sue braccia spalancate ad accoglierti.
Grazie don Alberto per quanto ci hai donato, “parti da questo mondo nel nome di Dio Padre che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito che ti è stato dato in dono”.
E così sia!
✠ Giuseppe Satriano