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S.E. Giuseppe

Satriano

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S. Messa di S.E. Mons. Giuseppe Satriano al Villaggio di Coldiretti. Bari, 30 aprile 2023

Carissimi membri della Coldiretti,

Egregio Signor Presidente dott. Ettore Prandini,

Signor Presidente Regionale dott. Savino Muraglia,

Direttore Regionale Pietro Piccioni

 

Carissimo Assistente Ecclesiastico, Mons Nicola Macculi, amico e fratello, con cui abbiamo condiviso i giorni della formazione al sacerdozio.

Insieme alla Chiesa di Bari-Bitonto, sono onorato di essere tra voi a vivere questo momento di grazia e di condivisione.

Avete ‘invaso’ Bari, riconsegnandoci con la vostra presenza la necessità e l’urgenza di ricontattare le origini identitarie del nostro territorio che dalla terra e da una cultura agricola trae la sua forza più significativa.

I nostri muretti a secco, disseminati nelle campagne di questa regione, non delineano solo i confini di proprietà e appezzamenti ma sono la trama di una tessitura millenaria nascosta, in cui ritrovare il meraviglioso lavoro di tanti agricoltori che hanno reso feconda e fertile questa nostra amata terra.

Bello lo slogan scelto per questo Villaggio: # io sto con i contadini; esso ci aiuta ad acquisire un cammino che partendo dal cibo ci porta a consapevolizzare una cultura che trova le sue origini nella campagna e si sviluppa nel sistema dell’agroindustria alimentare del Paese.

Oggi siete qui a dare testimonianza di un cammino che prosegue e che desidera attestare, nonostante la complessità dei tempi che viviamo, l’importanza di continuare a coltivare logiche di rispetto e di condivisone che, a partire da una grande attenzione al creato e alla natura, possano garantire crescita e sviluppo sostenibile per il futuro che ci attende.

Per voi vale ancora l’invito divino a custodire la terra perché continui ad essere una madre amata e non sfruttata, rispettata e non violata, al fine di poter ospitare la vita, promuoverla, salvarla.

Ricordo da bambino quando con tutta la famiglia, a settembre, si andava a vendemmiare insieme ai contadini che custodivano e coltivavano la campagna della mia cara nonna.

Ricordo i canti, la gioia, la fatica delle tinozze portate a spalla, i piccoli grappoli lasciati sul ceppo nell’eventualità che qualcuno ne potesse aver bisogno, la pesa dell’uva raccolta e la gioia di ritrovarla a tavola, profumata, gustosa al palato.

In quel procedere c’era la narrazione di un Noi, vitale e necessario ancora oggi per far crescere una società sempre più ammalata di profitto, e di un pervasivo individualismo ideologico, pericolosa matrice di derive speculative che attanagliano anche il mondo dell’agricoltura.

La Parola di Dio che risuona oggi ci presenta la figura di Gesù, buon pastore. Come sappiamo, spesso nel suo narrare Gesù assumeva immagini prese dalla vita reale del suo popolo, che era un popolo di pastori, ma al tempo stesso molti dei suoi insegnamenti fanno rifermento al mondo agricolo, segno di un’attenzione vivace al lavoro quotidiano di chi lo ascoltava.

Anche oggi, pur rimanendo Lui al centro della riflessione, trova spazio nel racconto evangelico un altro elemento: l’ovile. Anche entrando questa mattina nel Villaggio Coldiretti ne abbiamo trovato uno allestito.

«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce… io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo».

L’ovile è lo spazio dell’incontro e del riconoscimento reciproco tra il vero pastore e il suo gregge. L’ovile è il luogo salvifico del Noi, dove pastore e gregge trovano quella intima relazione che dà senso e pienezza alla vita.

Gesù si definisce l’unica porta dell’ovile, dinanzi alla quale chiunque si occupi delle pecore deve deporre vanità, ambizioni individuali, potere, calcoli opportunistici.

Chi non entra attraverso quella porta con lo stesso stile di Cristo è ladro e brigante.

Attraverso quella porta si entra in punta di piedi, ma soprattutto con una voce che sa trasmettere amore, pace e fiducia. Una voce inconfondibile, capace di far riconoscere il pastore dal mercenario, dal mestierante che vive senza amore la sua attenzione al gregge.

Quando il mestiere prende il posto dell’amore tutto diviene sterile, e la vita diviene rapina, morte… 

Quanto Gesù afferma di sé disegna anche per noi un orizzonte di vita imprescindibile per preservare, custodire e salvare quanto ci è affidato.

Le nuove minacce tecnologiche che giungono a insidiare la biodiversità e la sostenibilità della nostra agricoltura sono figlie di questa cultura egolatrica che guarda agli interessi di pochi, nascondendoli sotto la facciata di un millantato benessere per tutti.

Le parole di Gesù, come quelle di Pietro nella prima lettura ci invitano a una lotta con noi stessi, per attestare il buono, il bello e il vero nella vita di ciascuno.

Dobbiamo RESISTERE… perdonatemi se gioco con questa parola all’indomani delle celebrazioni per la Festa della Liberazione, nelle quali questo verbo acquisisce un peso e un senso particolari.

Sì, resistere! Resistere come… re-esistere, ovvero tornare a esistere. Credo che molto, ancora, non sia stato capito e compreso. Il confidare nella scienza, come aiuto e argine al nostro benessere è doveroso, ma è parziale. Il puntare su una ripresa economica rilanciando riforme e strategie è necessario, ma non basta. C’è una riflessione più profonda che dovrebbe abitare il nostro tempo che è data proprio dalle parole lapidarie e incisive di Papa Francesco, risuonate nel silenzio di piazza S. Pietro, il 27 marzo 2020: “Nessuno si salva da solo”.

Re-esistere è, allora, tornare a rimettere al centro la capacità di dare con-sistenza alla vita attraverso relazioni autentiche abitate dalla fiducia, sapendo riabilitare la grammatica del NOI e bandendo quella fallimentare dell’io.

Oggi interessi predatori mettono a dura prova l’esistenza dell’uomo anche nel mondo dell’agroalimentare con la pubblicità ingannevole di cibi sintetici posti a tutela del creato e del benessere di molti.

Il futuro necessita di amore, condivisione, di rispetto, solidarietà e non di individualismo e sopraffazione. L’oltre a cui siamo chiamati passa attraverso la sana relazione con l’altro e con il creato, bene imprescindibile e non sterile cornice del nostro apparire, a cui spesso lo riduciamo.

Sento forte l’invito che Gesù, prima della sua morte, rivolge ai suoi, esortandoli più volte: «Rimanete nel mio amore» (Gv 15). È qui la sorgente a cui guarderei per ritrovare se stessi, l’altro, il creato.

È da qui che dovremmo ripartire: uno sguardo verso il cielo per non perdere la capacità di camminare su questa terra.

Giuseppe Satriano, Arcivescovo di Bari-Bitonto

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