
«Li amò sino alla fine» (Gv 13,1)
Fratelli e sorelle carissimi,
con questa celebrazione entriamo nel Triduo Santo, siamo nel cuore della fede che professiamo.
Questa sera il Vangelo si fa grembiule, la Parola si inginocchia. È la sera dell’intimità, del dono e della memoria viva. È la sera in cui Gesù ci insegna cosa significhi amare “sino alla fine”.
Il racconto di Giovanni non parla del pane spezzato e del calice offerto. Parla di piedi. Di mani che lavano. Di acqua che scorre. E di un Dio che si piega.
- “Sapendo che era venuta la sua ora” (Gv 13,1)
Gesù sa che sta per passare da questo mondo al Padre.
Non fugge. Non si distrae. Non cerca consolazioni.
Rimane, e ama. Nei suoi gesti non c’è l’ansia di chi ha fretta di lasciare un’eredità, ma la tenerezza di chi sa che il modo migliore per restare è donarsi. Un maestro di spiritualità del nostro tempo scrive:
“Gesù vuole essere presente a noi, non semplicemente come un ricordo, ma come una forza viva, una presenza reale che cambia il nostro cuore”.
Questa forza non si impone. Si offre. Non si annuncia con discorsi altisonanti. Si manifesta lavando i piedi. Dio si fa piccolo. E noi siamo chiamati a credere che lì, nella piega dell’umanità più fragile, splende la gloria di Dio.
- “Si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita” (Gv 13,4)
L’evangelista descrive gesti lenti, quasi rituali. Quella che prepara la Pasqua è una liturgia di amore. Il Maestro si fa servo. E ci dice che nessun ministero, nessun presbiterato, nessuna autorità si comprende fuori da questa postura.
Il grembiule è l’ornamento di Dio, è la sua veste liturgica, direbbe don Tonino Bello che, nel grembiule del servizio, intravedeva la strada per inverare ogni eucaristia, non tanto come rito, ma come fuoco per accendere il mondo.
Stasera non celebriamo una nostalgia. Celebriamo una Presenza. Che ci lava, ci guarisce e ci invia. L’altare di questa sera è anche soglia. Per uscire, per andare, per servire.
- “Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io... ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri” (Gv 13,13-14)
I piedi sono la parte più umile del corpo. In un mondo in cui si camminava scalzi o con sandali, i piedi erano sporchi, stanchi, segnati dalla polvere e dalla fatica. Lavare i piedi significava toccare la parte più esposta alla fatica del vivere, toccare ciò che è impuro, stanco, debole. Il lavare i piedi di Gesù accorcia le distanze, rompe le gerarchie.
Gesù nell’umiltà del gesto, nel chinarsi su chi è stanco e impolverato dal cammino, si fa presente nella vulnerabilità del vivere. In una Chiesa tentata a volte dalla forma, dalla difesa delle proprie sicurezze, questa sera risuona chiara la voce del Vangelo: abbassarsi per rialzare. Servire per amare.
Pietro però si ribella: “Tu non mi laverai mai i piedi!”.
È il rifiuto di lasciarsi amare. Ma Gesù gli risponde: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Gesù invita Pietro e noi ad una conversione: bisogna lasciarsi amare, lasciarsi servire, lasciarsi guarire da Dio.
Nel gesto del lavare i piedi si rivela il cuore stesso del Vangelo: Dio che si fa vicino, che tocca la nostra umanità più povera, che ci ama fino alla fine. È un gesto eucaristico: umile, concreto, trasformante.
Chinarsi sui piedi dell’altro è riconoscerlo nel suo cammino, nella sua stanchezza, nella sua verità. Solo così l’amore diventa reale.
Conclusione
Fratelli e sorelle,
la Pasqua comincia così: non da un trionfo, ma da un corpo proteso sui nostri piedi. Il Signore non ci chiede cose straordinarie. Ci chiede la reciprocità dell’amore, ci indica la strada mostrandoci la dolcezza con cui ha lavato i piedi a Pietro.
Ci chiede di spezzare il pane della nostra vita, portando nel mondo la testimonianza di un Dio che si fa servo.
Concludo con questa preghiera che ho scritto al termine del pregare su questi testi della liturgia:
Signore Gesù, che hai amato sino alla fine,
insegnaci la forza mite del tuo chinarti,
la gloria nascosta in un grembiule,
la liturgia che si fa acqua e mani.
Rendici discepoli del tuo amore che serve,
presenza viva nel fragile vivere.
Tu che lavi i piedi impolverati dei tuoi amici,
guarisci le nostre resistenze a lasciarci amare,
e donaci la libertà dei piccoli,
che sanno riconoscere il Vangelo
nelle pieghe stanche della quotidianità.
Fa' della nostra vita un pane spezzato per tutti. Amen.
✠ Giuseppe Satriano
Arcivescovo