Al di là del mare
“Al di là del mare” è il titolo dato a questo nostro incontro, ricco della vita, della testimonianza di chi ci ha parlato ma anche dell’audacia, del coraggio dei protagonisti del tempo, come il Sindaco Dalfino e quanti, spinti dal sogno, dal desiderio di una vita migliore, più dignitosa, intrapresero un esodo dal profumo di libertà. Da limite invalicabile, il Mediterraneo si trasformò d’improvviso in uno spazio amico, possibile, in una frontiera senza fili spinati dove poter realizzare un incontro carico di speranza e di bene. La storia dei nostri fratelli albanesi e la storia di Bari è una storia antica che valica i secoli e i millenni attestando sempre il valore dell’accoglienza e dell’incontro.
Anche San Paolo visse un terribile naufragio che costrinse la sua nave, che lo conduceva prigioniero verso Roma, ad approdare a Malta. Era l’anno 60 e lì l’Apostolo delle genti trascorse tutto l’inverno, in quell’isola, situata al centro del Mediterraneo, colonizzata dai Fenici e inserita nell’area d’influenza romana sin dal 218 prima dell’era cristiana. Gli abitanti di Malta, estremamente ospitali, per scongiurare il freddo dell’inverno incipiente, accesero un grande falò, con l’aiuto dello stesso Paolo che, alla ricerca di legname per alimentare il fuoco, fu morso da una vipera, senza conseguenze. Da ciò i maltesi rimasero sbalorditi, pensando, dapprima, di essere dinanzi a un assassino e, poi, davanti a una divinità.
Questo grande lago di Tiberiade, che è il Mediterraneo, non è solo uno spazio navigabile: è un’opportunità per crescere insieme, per incontrarsi e dialogare, per conoscersi e fraternizzare, per porre un argine a quell’immaginario mutevole che contribuisce a influenzare la percezione dell’altro. Quante volte abbiamo assistito all’altalena di rappresentazioni dell’altro, identificando il naufrago talvolta come prossimo, simile, fratello dell’altra sponda; e altre volte, giungendo a utilizzare categorie disumanizzanti con le quali lo abbiamo reso alieno, clandestino, pura minaccia per la vita di una nazione, giustificando così le immani tragedie consumatesi in questo mare. Guardare al di là del mare non dovrebbe condurci mai a contrapporre culture e persone ma a intessere dialoghi, incontri, prossimità. Come afferma il Papa - nell’Enciclica Fratelli tutti - serve un modello socio-economico fondato sul concetto di fraternità universale a difesa dei diritti umani e civili. Purtroppo, ad una sfrenata globalizzazione dell’economia non corrisponde quella dei diritti umani più essenziali.
«Preghiamo il Signore affinché muova i cuori e tutti possano superare la logica dello scontro, dell’odio e della vendetta per riscoprirsi fratelli, figli di un solo Padre, che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi (cfr Mt 5,45). Invochiamo lo Spirito Santo perché ognuno di noi, a partire dai gesti di amore quotidiani, contribuisca a costruire relazioni nuove, ispirate alla comprensione, all’accoglienza, alla pazienza, ponendo così le condizioni per sperimentare la gioia del Vangelo e diffonderla in ogni ambiente di vita».
Erano queste le parole accorate di papa Francesco all’Angelus del 23 febbraio 2020 a Bari. L’invito è chiaro e forte: divenire artigiani di pace, attraverso i gesti quotidiani della vita, sapendo mettersi in gioco dinanzi al fratello. Oggi, in questo drammatico momento, la storia ci interroga, la fede ci snida dai nostri falsi perbenismi, invitando ciascuno a schierarsi con determinazione e audacia nel realizzare una “frontiera di pace”, che argini la prepotenza e l’indifferenza, la violenza e la superficialità, la menzogna e la riscrittura della verità.
Ex Jugoslavia, Kossovo, Iraq, Palestina, Libia, Siria, Libano, Afghanistan e oggi Ucraina denunciano il nostro silenzio, il volgere lo sguardo altrove lasciando che la storia del Mediterraneo venga descritta come storia dell’umanità tra “turisti” e “vagabondi”, tra coloro che devono difendere il proprio stato di vita e quanti vengono facilmente classificati come “stranieri”, irregolari, profughi e clandestini. La sfida che ci viene lanciata da quanto ascoltato stasera e da ciò che stiamo vivendo a distanza, guardando all’Ucraina, è il saper ritrovare la forza della compassione per ridare vigore ad una solidarietà che diventi fraternità, capace di costruire legami dove la diversità sia accolta, integrata e amata.
Essere fratelli, costruire relazioni fraterne è l’orizzonte della pace. Disarmare l’inimicizia, abbattere i muri, aprire i cuori al perdono è il “Sentiero d’Isaia” su cui incamminarci senza ‘se’ e senza ‘ma’. Ricostruire concretamente la dignità di ogni uomo è la sfida che possiamo e dobbiamo viverci.
Nel Vangelo di Giovanni abbiamo ascoltato Gesù affermare: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in Colui che egli ha mandato”. Come cristiano avverto la forza di questa affermazione che mi strappa all’indifferenza del vivere e mi pone:
- dinanzi ad un volto, il volto di Cristo;
- dinanzi a una storia, la storia del figlio di Dio, Gesù, che pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo … umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce;
- dinanzi a una verità, quella dell’amore che vince la morte, che vince ogni cosa.
Ecco l’opera di Dio che salva l’umano, questa è la strada su cui siamo chiamati a camminare: quella di un amore senza misura che restituisca identità al volto di ciascuno. Chiudo con un racconto a me caro.
Un rabbino chiese al suo discepolo: “Quando comincia il giorno”?
Il discepolo rispose: “Quando non confondo più la quercia con la palma”.
“Questo non basta”, rispose il rabbino.
E il discepolo: “Forse quando riesco a distinguere un cane pastore da una pecora”.
Soggiunse il rabbino: “Anche questo non basta.
Quando riuscirai a riconoscere tuo fratello nel volto di un altro uomo,
solo allora si è fatto veramente giorno”.
Preghiamo perché questo si realizzi.
✠ Giuseppe Satriano
Arcivescovo di Bari-Bitonto