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S.E. Giuseppe

Satriano

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«Solo lasciandoci toccare dall’amore di Cristo, come ha fatto Nicola, la nostra vita sperimenta la gioia piena»

Omelia di S.E. Mons. Giuseppe Satriano, Arcivescovo di Bari-Bitonto, nella Festa della Traslazione delle Reliquie di San Nicola. Bari, Basilica di San Nicola, domenica, 9 maggio 2021

Reverendissimo Priore, P. Distante, autorità,

cari sacerdoti, religiosi e religiose,

cari fratelli e sorelle in Cristo,

 

con il cuore colmo di gioia sono qui a presiedere questa Eucaristia, rendendo grazie per la traslazione delle reliquie di San Nicola, che per merito di 62 arditi marinai baresi, hanno adornato di grazia la città di Bari e l’intera Puglia, consegnando alle generazioni future un grande dono da custodire.

Saluto le Autorità civili e militari a cui manifesto viva gratitudine per la loro presenza.

Saluto i Rappresentanti delle Comunità ortodosse presenti in Bari a cui rinnovo gli auguri pasquali.

Con affetto riconoscente saluto il Priore, padre Distante e tutti i Padri Domenicani che, con premura e perizia, hanno cura di questa Basilica, meta di numerosi pellegrinaggi che attestano quella profonda devozione, della cristianità tutta, nei confronti di Santo di Myra.

Saluto l’emittente Telenorba, con i suoi dirigenti e operatori, che ci consente di entrare nelle case di tanti fedeli e pellegrini impossibilitati a essere qui per manifestare la propria devozione e fede: grazie di vero cuore.

Carissimi, sono tante le intenzioni di preghiera che deponiamo ai piedi dell’altare, in questa domenica benedetta dalla grazia di Dio e illuminata dalla Sua Parola.

Innanzitutto portiamo all’altare la sofferenza, i sacrifici e il dolore di tanti che, in questo periodo di pandemia, hanno visto infrante e falciate le proprie speranze, gli affetti, il lavoro. Ci poniamo accanto a questi fratelli, in silenzio, con tanto rispetto e condivisione.

Pregheremo e affideremo all’intercessione di San Nicola il ricordo dei defunti che, in quest’anno e, in particolare, in questi giorni di dolore, ci hanno lasciato.

Ricorderemo tutte le mamme nel giorno in cui le festeggiamo, pregando per loro affinché continuino ad essere quel riferimento di grazia per la vita delle proprie famiglie.

Infine desideriamo rendere grazie a Dio per la beatificazione del giudice Rosario Livatino, uomo “che sempre ha posto se stesso sotto la tutela di Dio, trovando il coraggio della libertà e squarciando il silenzio della connivenza mediante una vita intrisa di Vangelo” (dal Messaggio dei Vescovi della Sicilia per la Beatificazione di R. Livatino).

Con questo sentire di Chiesa e guardando agli eventi del passato, celebriamo l’odierna liturgia eucaristica a conclusione della quale vivremo il rito del prelievo della manna, proveniente dal sepolcro del Santo.

Un rito antico, che ritroviamo nella storia della traslazione delle reliquie, in quel miracolo dell’ampolla che sollecitò i marinai a non più indugiare nel rimuovere il corpo del Santo dal suo sepolcro, per condurlo a Bari.

La manna sta a dirci l’eloquente compagnia del Santo che, attraverso il suo corpo ci fa giungere un segno, un’acqua di particolare purezza, con la quale egli manifesta la sua prossimità, ricca di grazia e di benedizione, verso il nostro popolo e i fratelli che qui giungono pellegrini.

San Nicola, uomo vittorioso, come dice il suo stesso nome, fu tale perché uomo profondamente innamorato di Cristo. Egli fu segno autorevole dell’amore di Dio che ha saputo testimoniare, tessendo storie di carità, di misericordia, verso chiunque ne avesse bisogno. Artigiano di comunione e di unità ecclesiale, seppe amministrare il gregge di Dio con dedizione e passione, libero da interessi personali; mise in gioco i propri beni e la stessa vita, dimostrando una profonda umanità con la quale abbracciò le tante situazioni di bisogno incontrate, senza mai fare distinzioni o preferenze.

La Parola di questa sesta domenica di Pasqua ci offre spunti meravigliosi per approfondire e meglio comprendere la forza attrattiva di questo Santo pastore, amico del Signore.

La narrazione della conversione di Cornelio, al capitolo 10 di Atti, insieme al testo della prima lettera di Giovanni ci introducono al brano evangelico, nel quale troviamo tanta luce per la nostra riflessione.

Pietro, entrando nella casa del pagano Cornelio, riconosce l’opera dello Spirito che in quella casa lo ha preceduto, attestando con le sue parole il grande amore con cui il Signore guarda alla vita di ogni uomo:

Pietro prendendo la parola disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga».

Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola” (At 10,34-35.44).

Più che Cornelio qui è Pietro a convertire il suo cuore e la sua mente ad un amore divino che non conosce steccati, barriere, appartenenze, ma ama ogni uomo come suo figlio.

Anche il secondo brano ci presenta un dato fondamentale della vita cristiana di ciascun credente. Il cristiano ha uno specifico compito nella sua vita: essere portatore del mistero stesso di Dio. Amati e redenti dal sacrificio di Cristo sulla croce, ogni uomo che si lascia toccare da questo amore diviene ambasciatore, testimone, operatore di un amore che non trova radice nel nostro cuore ma nel cuore stesso di Dio.

“In questo si è manifestato l'amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui” (1Gv 4,9).

Intuiamo così da dove scaturisse la forza, il vigore nell’amare da parte di San Nicola. Solo Gesù, e solo Lui, è capace di aprire il nostro cuore all’amore vero.

Il brano evangelico ascoltato, continuando la narrazione del discorso d’addio di Gesù ai suoi discepoli, ci offre ulteriori preziosi spunti. L’evangelista usa un fraseggio ricco d’intimità, in cui la parola amore viene più volte declinata, conducendo gradualmente l’ascoltatore alla comprensione della gioia piena.

Essa consiste, in definitiva, non nella conquista del cuore altrui, nel possesso di cose o di beni, nell’esercizio di un amore fragile, segnato dal peccato, dal limite che abita la nostra esistenza. La vera gioia è possibile solo se ci si lascia condurre dentro quella relazione d’amore e di comunione che vivono il Padre e il Figlio nello Spirito Santo, la comunione trinitaria.

Mi è sempre piaciuta un’affermazione di Lutero giovane:

“Dio non ci ama perché siamo belli e buoni, ma siamo belli e buoni perché Dio ci ama”.

Solo lasciandoci toccare dall’amore di Cristo, come ha fatto Nicola, la nostra vita sperimenta la gioia piena. Non siamo noi ad aver scelto Cristo, ma è Lui che ci sceglie e ci costituisce per essere capaci di un amore vero.

Gesù stesso suggerisce un nuovo modo di essere in relazione con Lui, quello dell’amicizia, di una nuova alleanza sponsale, con cui egli nutre la nostra esistenza di se stesso.

“Rimanete nel mio amore” (Gv 15, 9).

In questo invito, che ritorna con insistenza, Gesù ci chiede il coraggio di una stabilitas, di un radicamento sincero che sappia riconoscere come il vero amore non è quello di chi ti seduce con parole e cose: il vero amore ha il sapore dell’inquietudine che ti spinge fuori dai recinti rassicuranti del vivere per imparare a far fiorire il meglio di te, riuscendo a volare alto, a “fruttificare”, come dice il vangelo.

Due sono le scelte da operare. Da un lato imparare da Gesù lo stile con cui amare: fino a dare tutto se stessi; dall’atro, amarsi gli uni gli altri, non in un generico atteggiamento di benevolenza verso tutti, ma esercitando un’attenzione che metta l’altro al centro, ciascuno col suo mondo, i suoi bisogni, le sue attese, i suoi sogni.

Carissimi, mi sembra emerga chiara la figura di San Nicola come uomo e credente che, lasciandosi amare da Cristo si è visto cambiare, trasfigurare la vita.

L’odierna festa, nel porre al centro la traslazione delle reliquie, ci interroga sul nostro essere custodi di questo grande tesoro.

Non possiamo uscire da questa Basilica solo appagati dal fatto di aver reso omaggio al Santo, o con la speranza che egli interceda per una nostra necessità. No! Credo che l’essere qui sia per ciascuno opportunità di conversione al vero amore di Dio.

Guardiamo con fierezza alla nostra storia, alla storia del nostro territorio e della nostra città, sapendo realizzare, sull’esempio di San Nicola, una vita personale, ecclesiale e sociale intrisa di vera carità: quella carità che sa realizzare spazi inclusivi, ricchi di accoglienza e di dialogo; quella carità che sa testimoniare la giustizia, non come semplice riconoscimento dei propri diritti, ma come vera responsabilità verso l’altro.

Auspico questo per tutti e, mentre invoco l’intercessione di San Nicola sulle nostre famiglie e sulle nostre realtà ferite, concludo con un testo di Gianni Rodari, tratto da una sua opera “Favole al telefono”.

È una filastrocca per bambini che ascoltai tanti anni fa dalla bocca di don Tonino Bello e che feci mia. Essa ci aiuti ad assumere la consapevolezza di amare questa vita con coraggio, come fecero i 62 marinai baresi:

Un signore di Scandicci
buttava via le castagne
e mangiava i ricci

Un suo amico di Lastra a Signa
buttava via i pinoli
e mangiava la pigna

Suo cugino in quel di Prato
mangiava la stagnola

e buttava via il cioccolato

Tanta gente non lo sa,
non ci pensa e non si cruccia.
La vita la butta via
e mangia soltanto la buccia.

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