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“Essere un regno di sacerdoti per il nostro Dio e Padre” (Ap 1,6)

Omelia di S.E. Mons. Giuseppe Satriano nella Messa Crismale del Giovedì Santo. Cattedrale di Bari, 14 aprile 2022

Care sorelle e fratelli in Cristo,

cari sacerdoti, religiosi e religiose,

 

            Stiamo sperimentando i giorni della tenerezza, giorni di grazia in cui l’amore del Signore si manifesta come forza di compassione, protesa a strapparci da noi stessi per riconsegnarci a quell’abbraccio di cielo che ci restituisce la bellezza della vita.

            Sono felice di essere con voi, nella nostra Cattedrale, per questa celebrazione che manifesta tutta la bellezza dell’essere popolo di Dio.

            La presenza di ciascuno, con la propria consacrazione battesimale e le sue prerogative di vita, esprime l’essere parte di quel regno di sacerdoti frutto dell’azione salvifica con cui “Cristo - dice la seconda lettura tratta dal libro dell’Apocalisse - ci ha amati e liberati dai nostri peccati con il suo sangue”, facendo di noi “un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre”.

            Questa liturgia ci consegna la consapevolezza di ciò che il lavacro battesimale ha realizzato nella vita di tutti noi, costituendoci popolo di Dio, ministri di consolazione e di luce per l’umanità.

            Ministri, non maestri. Servi disposti a portare con la vita l’annuncio di salvezza al mondo, mediante scelte capaci di abitare gli spazi eversivi dell’amore che il Vangelo di oggi ci presenta con inequivocabile efficacia:

“… portare ai poveri il lieto annuncio,

a proclamare ai prigionieri la liberazione

e ai ciechi la vista;

a rimettere in libertà gli oppressi

e proclamare l’anno di grazia del Signore”.

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            Siamo chiamati a toccare la carne, le ferite dell’umano e ad accarezzare le lacerazioni dei cuori. Le parole di Gesù nella sinagoga di Nazareth sono indirizzate a ciascuno di noi, a tutto il popolo di Dio, reso sacerdotale dalla propria adesione e conformazione a Cristo. 

            Ogni cristiano, unto dallo Spirito mediante il Crisma battesimale, è stato inviato per essere annuncio di misericordia, di liberazione e di consolazione.

            Parole forti, piene di vita, che ci inducono, come gli ascoltatori del tempo, a fissare lo sguardo su Gesù, mentre Lui trasfonde in noi l’ardore e l’impegno ad essere docili all’azione dello Spirito, per divenire segno tangibile di speranza in mezzo ai fratelli. 

            Tutto questo esalta la vita di ogni credente e non svilisce il ministero dei nostri sacerdoti.

            Quanto andiamo meditando è richiamo evangelico ad essere profumo di Cristo tra gli uomini, fragranza della sua presenza in un mondo bisognoso di senso, di comunione, di pace, di speranza.

 

            L’invito di Gesù, nel brano di Luca, non è a occupare spazi da gestire o a vivere un attivismo sterile, ma ad abbracciare il mondo con le sue contraddizioni e brutture, restituendogli dignità, bellezza e semplicità.

            “Mi chiamasti e il tuo grido lacerò la mia sordità; - è Sant’Agostino che parla - balenasti e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza e respirai e anelo verso di te; gustai e ho fame e sete; mi toccasti e arsi dal desiderio della tua pace”[1].

            L’incontro col Dio vivente, con il dono del suo Spirito, ci coinvolge dalla testa ai piedi, anima e corpo, in un incontro reale, intimo, capace di trasformarci, se sappiamo con umiltà lasciarci permeare dalla sua presenza.

            Nella vita di Francesco d’Assisi si racconta che:

“Un giorno, uscendo dal convento, san Francesco incontrò frate Ginepro. Era un frate semplice e buono e san Francesco gli voleva molto bene. Incontrandolo gli disse: «Frate Ginepro, vieni, andiamo a predicare». «Padre mio» rispose, «sai che ho poca istruzione. Come potrei parlare alla gente?». Ma poiché san Francesco insisteva, frate Ginepro acconsentì. Girarono per tutta la città, pregando in silenzio per tutti coloro che lavoravano nelle botteghe e negli orti. Sorrisero ai bambini, specialmente a quelli più poveri. Scambiarono qualche parola con i più anziani. Accarezzarono i malati. Aiutarono una donna a portare un pesante recipiente pieno d’acqua. Dopo aver attraversato più volte tutta la città, san Francesco disse: «Frate Ginepro, è ora di tornare al convento». «E la nostra predica?». «L’abbiamo fatta… L’abbiamo fatta» rispose Francesco. Se hai in tasca il profumo del muschio non hai bisogno di raccontarlo a tutti.  Il profumo parlerà in tua vece. La predica migliore sei tu”[2].

            Ginepro era uomo toccato dall’amore di Dio, dal suo profumo e per questo evangelizzava con tutto sé stesso. Dalla sua vita trasudava il Cristo.

 

E noi che profumo portiamo con noi?

 

            San Paolo nella Seconda Corinzi al v. 14 afferma: “Noi siamo dinanzi a Dio il profumo di Cristo”. Questa unione con Cristo che ci rende suo profumo è data per l’unzione dello Spirito. È lo Spirito che, ungendoci nel battesimo, nella confermazione, nel sacerdozio, ci rende profumati di Cristo.

            È lo Spirito che mediante l’olio sacro del Crisma ci arricchisce di quei doni capaci di restituire alla vita quell’ordine e quella sapienza che sgorga dal cuore di Cristo.

            Egli morendo per noi, e liberandoci dai condizionamenti del peccato, ha reso tutti noi, laici, presbiteri e religiosi, un regno di sacerdoti, ponte di grazia tra il cielo e la terra.

            Ogni crocevia dell’esistenza ci attende per restituire dignità ai feriti della storia: è questo il senso dell’essere cresimati, meglio crismati, confermati in un impegno di vita che nasce dall’abbracciare la logica con cui Cristo ha salvato il mondo.

             È grande e meraviglioso che ciascuno di noi possa contribuire a consolare e guarire le ferite del mondo, mediante l’offerta a Dio di sé stesso.

            Oggi tra noi ci sarebbero dovuti essere due giovani del Fornelli, l’Istituto penale per minorenni: Andrea e Sabrino (tra noi dei due in realtà c’è solo Sabrino, poiché Andrea ha contratto il Covid).  Loro insieme ai compagni di cella hanno confezionato il profumo che metterò nell’olio destinato ad essere consacrato come Crisma.

            Nel loro lavoro di preparazione alla Quaresima, guidati da don Evan, dopo aver affrontato il lavoro di un confronto sinodale, hanno riflettuto sulla messa crismale, in particolare sul segno dell’olio e del profumo e il loro significato. Da qui il desiderio di offrire il profumo per questa celebrazione, come segno di comunione e partecipazione, ma soprattutto di speranza poiché anche dalla vita di chi ha sbagliato può sprigionarsi qualcosa di buono e di bello.

            Tra le tante riflessioni, che loro hanno scritto, ne voglio prendere una che ritengo particolarmente significativa: “Profumare – dice il giovane Sabrino - significa dare di qualcosa, esistere per qualcuno e accorgerti che realmente la vita ha valore, perché tu hai valore davanti alla vita. Noi siamo il profumo che sprigioniamo. Si può essere profumo anche in carcere iniziando a pensare diversamente le cose della vita, ritenendo che tutto sia un meraviglioso dono di Dio e che questo sia il tempo per ritrovare sé stessi, per perdonarsi e perdonare. Ognuno di noi ha le sue macerie, ma la cosa sorprendente è che Dio ricomincia dalle nostre macerie e riparte da noi per rimetterci in piedi e per ridonarci quel profumo della dignità che abbiamo perso e che ci rende suoi figli amati: il profumo del perdono. Che questo profumo sia per tutti segno di testimonianza di un amore che riesce a vedere oltre gli sbagli come fa Gesù e allora sarà Pasqua!”

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            Grazie Sabrino. Quanto ascoltato ci porta a concludere che “Essere un regno di sacerdoti per il nostro Dio e Padre” è la sfida che assumiamo quest’oggi, con rinnovato slancio.

            Pertanto, a Voi Laici, sorelle e fratelli carissimi, desidero rivolgere questo invito: lasciatevi inebriare dal profumo di salvezza del Crisma, che verrà fra poco consacrato e che ancora risplende nella vita di ciascuno.

            Lasciate che l’unzione di quest’olio sacro, vissuta nel battesimo e nella confermazione, raggiunga pienamente i vostri cuori, consacrandovi alla dignità a cui siete stati chiamati: quella di figli di Dio e, in Cristo, fratelli di ogni uomo. Sentite la forza dello Spirito che vi sospinge a fare della santità l’orizzonte in cui vivere.

            Non arrestatevi dinanzi alle problematicità quotidiane della vita, ma con coraggio appropriatevi degli spazi a voi congeniali, lì dove l’uomo vive, sogna, desidera e soffre: strade, piazze, ambiti di lavoro, case, la stessa politica, intesa come impegno sincero per il bene comune. La vostra dignità sacerdotale non ambisca a ruoli e atteggiamenti clericali, ma si attesti nella capacità di coltivare la profezia del nuovo. Amate i vostri presbiteri e con loro operate per la realizzazione di comunità accoglienti dove ciascuno possa fiorire, scoprendo i doni che porta in sé.

            Lo Spirito, che in voi vive, vi aiuti ad aprire orizzonti di speranza per tutti e, nel ministero laicale che vi distingue, a confermare ciascuno nell’Amore del Padre. Come diceva il caro don Tonino Bello: “cresimate il mondo”.

            A voi religiosi e religiose, con cui da pochi giorni abbiamo compiuto un bel cammino quaresimale accanto ai nostri giovani, lasciando nel loro cuore tanta fiducia e gioia, desidero esprimere la gratitudine della nostra Chiesa diocesana per i tanti ambiti in cui spendete la vostra vita. Anche per voi questa Messa del Crisma divenga opportunità per ricollocare i vostri carismi a servizio del Regno. Paolo VI vi definì “alpinisti dello Spirito”. Il Crisma ricevuto dilati la vostra consacrazione battesimale perché, nel quotidiano dei vostri vissuti, traspaia sempre la bellezza del volto di Cristo come messaggio di tenerezza per il mondo.

 

            Infine, ma non da ultimo, mi rivolgo a voi Presbiteri,

fratelli nel sacerdozio ministeriale, consegnandovi l’abbraccio del cuore. Con voi, in modo particolare, ho sposato questa meravigliosa avventura di custodire il popolo di Dio che è in Bari-Bitonto, testimoniando e annunciando la vicinanza del Risorto ad ogni uomo.

            Anche per noi la Parola e la Liturgia si fanno appello e responsabilità. L’affetto e la predilezione del Signore, che ci ha scelti affidandoci il ministero di nutrire e amare questa sua sposa, si è tradotto in quell’effluvio di crisma sceso sulle nostre mani, nel giorno della consacrazione.

            Torniamo con gioia a quel giorno e facciamo memoria del tripudio di auguri, del suono festoso delle campane e degli abbracci, carichi di affetto, ricevuti da tanti fratelli e sorelle.

            È per questo popolo che noi esistiamo e non per noi stessi, ed è per loro e con loro che siamo chiamati a vivere e realizzare alcuni obiettivi che desidero indicare alla nostra attenzione.

            Nel giorno benedetto della nostra ordinazione presbiterale, siamo stati chiamati, nonostante le povertà e le fragilità che ci contraddistinguono, ad essere uomini liberi, per costruire cammini di fede e di vita.

            Non possiamo desistere dal cercare percorsi che nutrano di autentica comunione i vissuti del nostro popolo, liberando gli spazi ecclesiali da coloro che interpretano il servizio e la vicinanza come potere o servilismo alle nostre persone.

            Abbiamo bisogno di collaboratori non improvvisati o scelti per simpatia, ma di persone che sappiano a costo di sacrifici condividere il progetto missionario di una Chiesa chiamata a uscire per le strade, decisa ad annunziare il vangelo della gioia.

            Sollecitiamo e formiamo i nostri laici a vivere da protagonisti l’essere Chiesa, sapendosi assumere le proprie responsabilità dinanzi alle sfide del mondo.

            A chi bussa cercando, impegniamoci a offrire ascolto attento e disponibilità, ponendoci accanto come compagni di strada. Solo l’impegno a vivere percorsi partecipati e condivisi ci renderà autorevoli edificatori di comunità vive.     A noi, dunque, il compito del discernimento, dell’accompagnamento spirituale, della formazione, della vicinanza alle coscienze.

            Cresca tra noi stima e amicizia fraterna che, come gocce di rugiada, ricadono sul nostro popolo, edificandolo.      

            Fuggiamo, invece, con decisione dalla complicità furbesca e dal tornaconto personale che ci allontanano dalla gratuità dell’amore.

            Ci troviamo in tempi duri e delicati, e mentre invito a pregare per la pace e per chi è nella sofferenza, a tutti auguro di lasciarci afferrare da Cristo. La Pasqua, ormai prossima, inneschi la rivolta della vita su ogni forma di morte e ci doni perseveranza nel profumare di Cristo il quotidiano e allora, solo allora … sarà finalmente primavera … e la vita esploderà!

 

[1] S. AGOSTINO, Confessioni X, 27,38

 

[2] B.         Ferrero, C’è qualcuno lassù, Elledici

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